Una mostra dedicata alla pittura, al cerchio e al quadrato come concetti figurativi e approcci mentali curata dall’artista statunitense Jessika Stockolder – pensata come un’unica opera – per le OGR di Torino.
Per Cut a rug a round square, mostra che inaugura il programma espositivo 2021 delle OGR, è stata invitata nella veste di curatore d’eccezione Jessica Stockholder (Seattle, 1959), artista internazionale nota per l’originale approccio alla pittura come dispositivo in grado di superare i confini della tela sino a diventare scultura e installazione senza soluzione di continuità.
L’esposizione non a caso è incentrata sulla pittura e sulle figure del quadrato e del cerchio come concetti figurativi primari in continuo dialogo, contrasto, compenetrazione pluridimensionale, ma anche strumenti semantici che inducono a riflessioni sulla cicilicità del tempo, sulla rigidità del quadrato, sulla difficoltà per l’uomo di trovare la famosa “la quadratura del cerchio” nella vita di tutti i giorni. Per la realizzazione del progetto – allestito all’interno del Binario 1 delle OGR Cult, area delle OGR dedicata all’arte e alla cultura – la Stockolder ha attinto a 25 opere di due collezioni prestigiose: quella della Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT di Torino, in comodato d’uso presso la GAM e il Castello di Rivoli, e quella della Fondazione “la Caixa” di Barcellona, a cui la Stockolder ha aggiunto una sua opera realizzata per l’occasione. Un’operazione site specific di grande raffinatezza che potrebbe essere equiparata all’idea di una sola grande opera.
Come racconta l’artista stessa nell’introduzione alla mostra (uno dei contenuti extra e multimediali a cui è possibile accedere in mostra grazie ad un Q-code, insieme ad una playlist Spotify a tema forma / colore selezionata dalla stessa artista per accompagnare la visita ) : […] “ Man mano che dedicavo tempo a entrambe le collezioni, mi sono concentrata su quelle opere in cui le forme rettilinee e circolari giocavano un ruolo centrale e ho iniziato a pensare ai vari modi in cui queste due forme di base vanno in risonanza con il corpo, in che modo incanalano i contenuti e come contribuiscono a segnare i bordi delle opere d’arte. I quadri hanno bisogno di pareti alle quali essere appesi e, negli ultimi cent’anni circa, il “cubo bianco” è stato per essi un contesto scontato. Le pareti bianche e la geometria pulita dello spazio si propongono come un contenitore neutro, non dissimile da un foglio di carta bianco. L’edificio delle OGR, lo scheletro di un ex sito industriale, non è un contesto neutrale. E, soprattutto, non ha un sistema di illuminazione integrato; e i quadri, per essere apprezzati, hanno bisogno di luce. Ho dovuto quindi tenere conto sia delle pareti sia dell’illuminazione. È sempre importante riconoscere il contesto, in quanto i confini tra le opere d’arte e i loro dintorni sono permeabili, con informazioni che fluiscono in tutte le direzioni. In questo caso l’allestimento della mostra non si propone come neutro. È in sintonia con la storia del “cubo bianco”, con lo spazio e la storia delle OGR, con le opere stesse e anche con la storia della mia attività artistica. I primi elementi essenziali dell’allestimento sono le strutture murarie triangolari. Essendo i triangoli frammenti di forme rettilinee, sono sempre pieni di energia dinamica. I loro angoli puntano oltre, portando l’occhio e l’attenzione in tre direzioni diverse. Ho proposto due gruppi di strutture triangolari a parete, collegati a due macchie di colore sagomate sul pavimento – una rotonda e l’altra quadrata. Ciascun gruppo, e ogni opera d’arte al loro interno, è illuminata nell’altrimenti buio edificio, trasformando tali insiemi in isole flottanti. […]
E per isole flottanti ci si aggira osservando le opere (non solo dipinti, ma anche fotografie e installazioni dove ritornano insistentemente i temi del cerchio e del quadrato come esercizio visivo e di contenuto) con qualche coup de theatre come la splendida esplosione del rosso papavero di Oldemburg (Claes Oldenburg and Coosje van Bruggen, Dropped Flower, 2006), qui animale dalla bocca spalancata, al ring rosa intenso (un’opera installativa voluta dall’artista come richiamo a Yves Klein, ma anche un intelligente cortocircuito sul fatto che in italiano la parola ring – cerchio – indichi quello che di fatto è il quadrato della boxe!) seguendo le tracce sul pavimento che rimandano alla struttura visiva del film Dogville di Lars von Trier, dove segni bianchi sono sufficienti allo spettatore per immaginare stanze e dei percorsi, un piano orizzontale evocativo da cui nascono le azioni e si alternano situazioni sempre nuove. Aggiunge ancora la Stockolder sulla pittura: […] La pittura stessa è una pelle, forma una sorta di pelle sulle pareti a cui sono appesi i dipinti e anche sulla tela stessa dei dipinti. E così le pelli pittoriche all’interno della mostra fanno sia da primo piano che da sfondo.
Tenendo conto del cavernoso spazio di mattoni delle OGR, e pensando a come creare una situazione si rivolga contemporaneamente alla complessità di ciò che è la pittura e che consenta alle opere di essere pienamente esaltate, mi sono ricordata la rappresentazione scenografica dello spazio nel film Dogville di Lars von Trier.[…] È difficile dire se questo progetto espositivo sia cresciuto in risposta allo spazio delle OGR o se sia stata la natura delle due collezioni a dare impulso a questo approccio. In ogni caso, a prima vista, guardando le due collezioni, rimasi colpita dalle molte opere in cui il cerchio e il quadrato si intersecano. Spesso, ma non sempre, queste opere rappresentano letteralmente dei cerchi e dei quadrati. Ho cominciato a pensare alla rappresentazione del corpo umano come a una sorta di cerchio all’interno di un quadrato; e mi è venuto in mente l’Uomo Vitruviano di Leonardo Da Vinci. Molte delle opere di questa mostra presentano come chiara forma di espressione cerchi, triangoli e rettangoli. Sono giunta a vedere l’immagine del corpo umano come una sorta di cerchio grezzo incorniciato dalla pittura rettilinea. […]. Spero che questa mostra sia, per coloro che la percorreranno, un’occasione per trarre piacere dai voli della fantasia e per valorizzare il proprio potere di agire mentre osservano la straordinaria varietà di creazioni del mondo racchiusa in questa collezione di opere.”
L’artista ha indaga la pittura e i suoi modi, le sue definizioni categoriche attraverso i limiti di genere, studiandone i bordi letterali e metaforici. Da Directions di Vito Acconci, fotografia che raffigura un uomo con braccia e gambe divaricate a evocare l’Uomo Vitruviano, intento in una estenuante performance, a Combustion di Aurelio Amendola, una serie di scatti di che ritraggono Alberto Burri mentre con una torcia fonde la plastica creando un cerchio in un quadrato. Da Bonded Eternmale di Monica Bonvicini, installazione composta da due sedie ricoperte di pelle nera borchiata esibite su un tappeto rosso circolare, A REMOVAL OF THE CORNER OF A RUG IN USE di Lawrence Weiner in cui le parole si stagliano sulla superficie del muro come la pittura sulla sua tela. E ancora, “9am – to 5pm” il dipinto di Edward Ruscha che contiene il ciclo del tempo di una giornata lavorativa all’interno di un claustrofobico rettangolo disegnato, o Undercurrent (Red) di Mona Hatoum dove la superficie del pavimento funge da piano pittorico per un grande tappeto di cavi elettrici. Insieme a queste, tra gli altri, i lavori di Marlene Dumas, Richard Tuttle, Tracey Emin, Diego Perrone e Jessica Stockholder stessa, vengono esposti in un display disegnato appositamente dall’artista, che trasforma l’intera mostra in un’opera d’arte a sé, una grande installazione ambientale che riprende, in forma esperienziale, la riflessione dello scontro tra il cerchio e il quadrato come immagine dello scontro produttivo tra razionalità e fantasia, ordine e sovrabbondanza, corpo e idea.
Da segnalare l’opera di Simon Møller Dybbroe, Waiting for DifferentTimes, 2008, proveniente dalla Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, che richiama per ellissi il destino dei musei e delle mostre senza visitatori, un ammasso disordinato in magazzino, esagerato come un fumetto, di basamenti di fogge e periodi diversi non identificabili, un’opera di più di dieci anni che oggi evoca le istituzioni culturali chiuse a causa sell’emergenza sanitaria, senza opere da vedere, senza visitatori che le osservino.
Cerchio e quadrato come espressioni del sentire e del pensare, così come ricorda Paolo Conte nel “Il cerchio e il quadrato” (tratta dall’album Psiche del 2008) scelta per la playlist: “Pensavo al cerchio, che nessuno vede, ma si sente fremere e vibrare”.
Per info
Cut a rug a round square
OGR – Officine Grandi Riparazioni
Corso Castelfidardo 22, Torino
Dall’11 febbraio 2021
giovedì e venerdì h 15-20
(ultimo ingresso h 19:30)
Ingresso gratuito