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Tsherin Sherpa – L’arte contemporanea Nepalese ad Artissima Torino e alla Biennale Arte di Venezia

Tsherin Sherpa rappresenta il suo paese alla Biennale Arte di Venezia e, contemporaneamente, espone ad Artissima, 4-6 Novembre 2022 a Torino con la Galleria Rossi & Rossi, alcuni suoi lavori del 2010 e del 2014 appartenenti ad una collezione privata. L’artista ha partecipato quest’anno anche alla fiera TEFAF di Maastricht, dedicata ad arte e antichità e conclusasi lo scorso Giugno, e ad una retrospettiva “Spirits” al Virginia Museum of Fine Art USA. E’ presente con le sue opere nelle collezioni di importanti musei, ha esposto in mostre di tutto il mondo ed è sicuramente uno degli artisti Himalayani più famosi della sua generazione.

E’ lui a rappresentare il Nepal per la prima volta alla Biennale Arte di Venezia con un suo Padiglione, curato dagli artisti Sheelasha Rajbhandari e Hit Man Gurung. Si trova in una sede veneziana molto particolare a metà strada tra l’Asenale e i Giardini: Sant’Anna Project Space One alla Fondamenta S. Anna.
È la prima volta alla Biennale anche per il Rubin Museum, che ha contribuito a rendere possibile all’arte della regione Himalayana di affacciarsi al mondo occidentale con una veste nuova, contemporanea.

Nelle parole dell’artista e di Sangeeta Thapa, fondatrice e direttore della Siddhartha Arts Foundation, è la chiave per reinterpretare un paese che, nel nostro vissuto occidentale, si identifica con: spiritualità, antiche tradizioni e templi di ogni credo; filosofia zen e approccio alla vita resiliente; valori antichi e una cultura rivolta al passato.

Eppure scoprirete, in queste mie interviste, che il punto di vista dei nepalesi su quel mondo spirituale descritto in tanti film, libri e resoconti di viaggio è molto diverso e che i luoghi comuni devono essere sfatati partendo da qui, da Venezia, grazie al lavoro dell’artista e dei curatori del Padiglione.

Muted Expressions, 2022, Tsherin Sherpa – ph Diana Cicognini

Tales of Muted Spirits – Dispersed Threads – Twisted Shangri-La

“Non è solo l’arte, ma l’intera identità nepalese a non essere capita. Malintesi, equivoci, incomprensioni riguardano ogni aspetto della nostra cultura. C’è sempre una proiezione dell’immaginario creato dai film di Hollywood o da quello che si è sentito e letto da qualche parte, prima di entrare veramente in relazione ed avere una conversazione con un nepalese. Tutto viene distorto. Manca un profondo rispetto e una reale comprensione delle forme d’arte himalayane.” Tsherin Sherpa

“Tutti pensano che il Nepal sia realmente e solamente quel posto esotico e puro, circondato da montagne, descritto nei resoconti occidentali. Quello che noi vogliamo raccontare, con la nostra presenza a Venezia, è che il Nepal è molto più di questo. Shangri-La è come un’utopia. Sembra un posto perfetto, ma non lo è. Tutti aiutano tutti, è vero, e c’è stato un tempo in cui il Nepal si era riunito, ma oggi esistono conflitti interni e tanti altri problemi.” Sangeeta Thapa

© Tsherin Sherpa

“Sono stato formato nell’arte tradizionale nepalese, per rappresentare la storia del Buddha e le sue leggende, i mandala, la ruota della vita e così via. Ho iniziato quando avevo 13 anni. Arrivo, infatti, da una famiglia in cui questa pratica si tramanda da generazioni. Urgen Dorje, mio padre e maestro della pittura tradizionale tibetana Thangka, insieme a mio zio e tutti in famiglia abbiamo studiato ed esercitato le arti tradizionali nepalesi. Le abbiamo sempre considerate un aspetto normale e naturale della nostra vita quotidiana.”

I Thangkas sono dipinti su cotone o seta che rappresentano divinità e simboli sacri. La pittura Thangka è una pratica artistica Tibetana legata alla filosofia Buddista e nella sua forma più pura è considerata un mezzo per la meditazione. Veniva insegnata dai monaci nei monasteri di generazione in generazione.

“Nel 1998, a 27 anni, ho lasciato il mio paese per andare a San Francisco. Inizialmente solo per visitare la famiglia dei miei genitori presso una fondazione buddista, in California sono molte, poi ho deciso di rimanere. Fui subito ingaggiato da diversi templi buddisti per realizzare dipinti murali tradizionali e continuai a lavorare regolarmente per loro. Vivendo in America, ho avuto la grande opportunità di conoscere tradizioni artistiche diverse dalla mia ma, soprattutto, l’Arte contemporanea, le installazioni e le opere multimediali o interattive che non avevo mai visto prima. Non avevo proprio idea che potessero esistere altre tecniche espressive, oltre a quelle imparate con mio padre e mio zio quando ero ragazzino, non me lo aspettavo. Iniziai così a visitare gallerie, studi di artisti, musei e studiare tutto ciò che insegnavano nelle accademie d’arte, ma non ho frequentato una scuola. Lentamente il mio modo di vedere l’arte è cambiato, sono arrivato ad una consapevolezza più profonda del mio ruolo di artista e ho sentito l’esigenza di rappresentare la realtà che vedevo intorno a me.

Mi è capitato di incontrare molti artisti e storici dell’arte, che sono diventati amici e sono stati tra i pochi a rispettare le mie origini e il modo unico di vedere le cose. Gli altri americani, invece, avrebbero studiato il mio cervello se fosse stato possibile.”

The Butterfly Effect/Chaos Theory, 2008 – Tsherin Sherpa

E’ in questa fase che l’arte di Tsherin Sherpa si è trasformata reinterpretando storie, motivi e simboli nepalesi, attraverso l’arte occidentale che stava scoprendo per la prima volta, fino a trovare il suo stile personale e contemporaneo che ha portato quest’anno a Venezia.

“Nella Regione dell’Himalaya la cultura buddista era così forte che tutto, anche l’arte, era legata alla spiritualità, mentre in America l’arte affrontava questioni sociali, personali e politiche. Qualcosa è scattato in me e ho capito che forse potevo parlare delle mie esperienze personali, combinando il vocabolario imparato nell’arte tradizionale ai nuovi stimoli ricevuti. 

Il primo lavoro che ha rappresentato il passaggio dalla mia pratica tradizionale a qualcosa di nuovo è stato The Butterfly Effect/Chaos Theory. Il soggetto riguardava soprattutto la crisi finanziaria globale del 2008, che ha avuto un impatto su molte persone. Gli effetti diretti subiti dagli amici a me più vicini e dalla nostra comunità hanno fatto nascere in me il desiderio di esplorare il tema con un linguaggio visivo nuovo.”

Il titolo dell’opera richiama alla mente di noi occidentali teorie molto note e concetti presenti anche nella filosofia buddista. Qui, come in tutte le sue opere successive, i diversi piani di lettura e le tecniche artistiche si fondono. Spirituale e quotidiano, personale e collettivo, tradizionale e contemporaneo, figurativo e astratto non si possono scindere nelle opere di Tsherin Sherpa.

24 Views of Luxation, 2022, Tsherin Sherpa – ph Diana Cicognini

“Nel 2015 a causa del grande terremoto, che ha colpito il mio paese portando ovunque distruzione, ho deciso di tornare in Nepal e mettere a disposizione la mia conoscenza dell’arte tradizionale nepalese. Insieme a mio padre, e alle poche persone che conoscevano le tecniche antiche, abbiamo iniziato a ricostruire i siti andati distrutti.

La generazione di mio padre piano piano se ne sta andando, mentre quelle più giovani non sono interessate alle arti tradizionali. Passato e presente sono fortemente disconnessi. Poche persone sono interessate ad imparare le vere tecniche tradizionali, mentre il turismo ha fatto crescere la richiesta di dipinti a basso costo. Di conseguenza, quelle che erano nate come pratiche spirituali ora stanno diventando sempre più commerciali e anche poche artistiche. Questa tendenza sta mettendo in pericolo tutte le nostre tradizioni. Sempre meno persone sono interessate a sapere quale sia il vero significato della nostra arte e non riescono a comprendere che è una pratica lenta, che richiede tempo. Oggi il mercato chiede di produrre tante copie e velocemente.”

Padiglione Nepal, Tsherin Sherpa – ph Diana Cicognini

Ad accogliermi nel Padiglione è Sangeeta Thapa, fondatrice e direttore della Siddharta Art Gallery, Co-fondatrice del centro di arte contemporanea e curatrice della Triennale di Kathmandu. Ci tiene a sottolineare che “La presenza a Venezia del Nepal non sarebbe stata possibile senza il supporto della Galleria Rossi&Rossi di New York”. Per comprendere questa affermazione è necessario ripercorrere parallelamente la storia del Paese e le trasformazioni dell’arte contemporanea nepalese. Ho voluto farlo in una breve intervista con Sangeeta Thapa su “L’Arte contemporanea in Nepal” in un altro articolo. Torniamo ora all’intervista con Tsherin Sherpa.

“Nelle opere presenti qui a Venezia, l’idea e il design sono miei, ma ho deciso di collaborare con artigiani del ferro, tessitrici e pittori nepalesi per mostrare l’essenza del Nepal contemporaneo e la presenza di molti artisti di talento. Dovremmo forse porci questa domanda: Cosa è arte e cosa artigianato? Ormai è chiaro che in Nepal si fanno tappeti per i turisti, sculture per i turisti, dipinti per turisti. Quello che invece io voglio far sapere è che ci sono ancora molti artisti che pensano veramente all’arte tradizionale come ad una pratica di vita. La Biennale di Venezia è la meravigliosa occasione per dire chi è veramente il Nepal e stravolgere i preconcetti che lo definiscono agli occhi del mondo. Non tutto è perfetto in Nepal, siamo un paese normale con problemi ed eccellenze come qualsiasi altro.”

Thogchag, undated Bronze– ph Diana Cicognini

“Mi sono fermato a pensare che cosa avrei potuto creare per Venezia, dopo la pandemia, adesso che tutto sta riaprendo e guardiamo alla vita in modo diverso. Il lavoro che ho deciso di portare nasce da una pittura murale molto antica del X/XI secolo presente in un monastero e dedicata a Garuda. Nella rappresentazione della figura di Garuda ho voluto dipingere anche le ali, un attributo importante che per me simboleggia il viaggio, in questo caso verso Venezia. Gli altri simboli che ho rappresentato ci proteggono dagli ostacoli che stiamo affrontando, come singoli e come società.”

In uno dei frammenti del dipinto è rappresentato il Thumderbolt (Vajra), che distrugge l’ignoranza in qualsiasi sua forma. E poi c’è il Khyung divinità guardiana, in parte uomo in parte uccello che protegge dalle malattie e dalle avversità. Garuda è presente anche nelle figurine dei ciondoli del XII e XIII secolo (Thogchag, undated Bronze) esposte nella vetrinetta a fianco dell’opera pittorica. E’ tradizione indossarli come un talismano per proteggere da negatività, malattia e incidenti.

L’artista trasforma il suo immaginario fatto di simboli tibetani buddisti in forme astratte o frammenti, che poi riunisce creando un nuovo insieme di simboli e significati. Non rinnega gli insegnamenti ricevuti, come la tecnica e i colori espressione del sacro nella pittura Thangka, ma nel complesso dell’opera li stravolge e li rende parte di un concetto astratto.

“Ho ripreso una pratica che avevo iniziato intorno al 2010/2011 in cui non mi limito a riprodurre l’opera originale per scomporla successivamente in frammenti. Non sono mai partito dall’immagine intera perché, dopo anni e anni di pratica, il soggetto è già nella mia testa. Inizio direttamente a disegnare e poi dipingere le diverse parti separatamente, per decidere solo dopo dove posizionarle. Non voglio che l’attenzione sia concentrata sui simboli presenti, uso invece i frammenti dell’immagine come elementi decorativi, a volte visti in primo piano altre volte a distanza, rendendo quasi irriconoscibile l’immagine religiosa di partenza. Quest’operazione non deve essere intesa come una destrutturazione dell’immagine quanto una ricostruzione. Perché farlo? La risposta si cela dietro la cultura nepalese e le mie esperienze di vita. Ho vissuto in America 22 anni. Ho visto molte persone arrivare dal Nepal portando con sé il loro piccolo mondo. Un nucleo familiare trapiantato in America, dove i genitori cercavano di insegnare ai figli i valori della famiglia, la cultura, la lingua e le tradizioni nepalesi. Cercavano di preservarli come piccoli frammenti. Gli stessi frammenti che nelle mie opere ricompongo in modo apparentemente casuale. Io voglio che le tradizioni nepalesi vengano custodite e tramandate, ma non voglio esserne dominato.”


“Ho fatto realizzare questo tappeto a partire da una mia opera pittorica astratta The melt, che rappresenta l’immagine di una divinità manipolata fino a trasformarla in un vortice di colori. Viene riprodotta, però, solo una parte dell’opera originale, un frammento, come nel caso del dipinto.

Il tappeto esposto è più un’istallazione, che un’opera d’arte in sé, e il design ne è solo un aspetto. Tutto, infatti, è parte dell’installazione: il telaio, il tappeto non finito, le lane e gli strumenti utilizzati per realizzarlo, che sono pezzi originali provenienti dalla prima fabbrica di tappeti mai esistita in Nepal. Fu fondata negli anni sessanta a Jalsa con l’aiuto della Croce Rossa svizzera, da profughi che realizzavano tappeti da inviare in Europa. La scelta che ho fatto, ancora una volta, vuole essere un omaggio alla nascita di questa pratica tradizionale in Nepal per tramandarla e farla conoscere. Un tempo era una pratica comune nella nostra cultura. Le donne tessevano i tappeti in casa per un uso privato, per la preghiera o la decorazione della casa. A un certo punto, dagli anni ’60 agli anni ’90, l’intero processo si trasformò in una delle principali industrie Nepalesi da miliardi di dollari, che produceva per esportare o per i turisti. Il contesto culturale e la pratica tradizionale di tessitura di un tappeto si persero lungo la strada.”


Si ripete anche in quest’opera di Tsherin Sherpa la frammentazione e decontestualizzazione dei simboli della sua cultura di origine e delle pratiche tradizionali, per creare una nuova composizione e narrare ciò che sta succedendo nel Nepal contemporaneo. In questo caso riprende un’opera d’arte in cui aveva espresso le emozioni e il dolore che avevano sopraffatto chi era stato toccato dalla grande catastrofe del terremoto del 2015.

“Ho creato il dipinto intitolato Muted Expressions nel 2015 per l’8a Triennale dell’Asia Pacifica a Brisbane, in Australia, e qui, alla Biennale di Venezia, lo ripropongo in una versione scultorea in bronzo. Ho voluto chiamare degli artigiani per realizzarla, perché anche la lavorazione del bronzo è un’arte che in Nepal sta sparendo lentamente.
I mudra, i gesti di preghiera o meditazione rappresentati dalle mani, esprimono una simbologia mistica ben precisa nell’iconografia tradizionale. Nelle mie opere, invece, ho combinato più gesti in una massa unica dalla forma astratta, perché volevo che l’esperienza dello spettatore fosse caotica e che il simbolismo tradizionale scomparisse.

Le opere che ho presentato a Venezia riassumono visivamente la vera motivazione che mi spinge, ed è estetica e artistica soprattutto, non spirituale.”

www.nepalinvenice.com
www.instagram.com/nepalinvenice/

Tsherin Sherpa
www.tsherinsherpa.com

Intervista con Sangeeta Thapa su “L’Arte contemporanea in Nepal”

About Diana Cicognini

Diana. Dea cacciatrice! Il mio territorio è Milano, la mia preda l'Arte ... che racconto, scrivo, disegno e metto in mostra. Giornalista pubblicista, la mia Nikon mi accompagna sempre per testimoniare la bellezza e là dove il mio obiettivo fotografico non arriva...un grazie dichiarato ad artisti, gallerie ed uffici stampa che mi concedono "uno scatto" per le mie parole.

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