Senzamargine. Passaggi nell’arte italiana a cavallo del millennio: la mostra al MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo dal 2 ottobre 2020 fino al 10 ottobre 2021.

Nel decennale del Museo, inaugurato il 30 maggio 2010, un nuovo grande allestimento valorizza il progetto della Collezione, esponendo nella galleria a essa dedicata un nucleo di opere di nove maestri che rappresentano la vitalità e la diversità delle ricerche artistiche in Italia. Maestri non ancora presenti nella Collezione del MAXXI e che, grazie a un contributo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo in occasione di questo importante anniversario, entreranno a farne parte. Nell’anno del decennale del MAXXI, dunque, è ancora  la collezione pubblica nazionale, patrimonio collettivo, a essere protagonista.

Luciano Fabbro, Italia all’asta, 1994
ferro verniciato
Collezione MAXXI Arte

Carla Accardi, Luciano Fabro, Luigi Ghirri, Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi, Paolo Icaro, Jannis Kounellis, Anna Maria Maiolino, Claudio Parmiggiani,  Mario Schifano. Questi nove maestri imprescindibili dell’arte italiana contemporanea, tutt’oggi punto di riferimento per le generazioni più giovani, sono i protagonisti della mostra-omaggio Senzamargine. Passaggi nell’arte italiana a cavallo del millennio, un progetto del MAXXI Arte a cura di Bartolomeo Pietromarchi, al MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo dal 2 ottobre 2020 fino al 10 ottobre 2021.

Senzamargine, inoltre, è il culmine di un progetto più ampio, anch’esso per i 10 anni del museo, dedicato alla creatività italiana contemporanea: iniziato a febbraio con REAL_ITALY, la mostra con gli artisti mid-career vincitori delle prime edizioni dell’Italian Council, si concentra ora su grandi nomi consacrati per posare infine lo sguardo, dal prossimo 28 ottobre, sui  giovani talenti dell MAXXI BVLGARI Prize.

“E’ un giorno importante per il MAXXI – commenta Bartolomeo Pietromarchi – Le opere scelte di questi nove maestri, che rappresentano la vitalità e la diversità della scena artistica in Italia, espressione di una ricerca indipendente e originale e punto di riferimento per le generazioni successive. L’ingresso in Collezione consolida il prestigio, la forza,  l’identità, la missione di conservazione, studio, ricerca e sperimentazione del museo e nel contempo ne rafforza la fruibilità”.

Allestite in una sequenza di ambienti immersivi che ne potenziano la carica rivoluzionaria, la forza e la monumentalità, oltreché la relazione con lo spazio, le opere scelte sono state realizzate da maestri italiani, o attivi in Italia, spesso considerati ai margini dei movimenti più conosciuti ma che negli anni hanno saputo mantenere una ricerca indipendente e originale, tali da essere considerati punto di riferimento per gli artisti delle generazioni successive.

Luigi Ghirri
foto © Musacchio, Ianniello & Pasqualini

Negli spazi della Galleria 1, al piano terra del museo, si susseguono una serie di “stanze”, ognuna delle quali dedicata a un artista di cui sono esposte grandi installazioni, opere importanti realizzate negli anni a cavallo del millennio, opere senzamargine, per parafrasare il titolo della rivista d’avanguardia fondata e diretta nel 1969 da Alberto Boatto, a cui contestualmente è dedicato un focus di approfondimento nell’Archive Wall. Questa sequenza di ambienti immersivi potenzia la carica rivoluzionaria, la forza e la monumentalità, oltreché la relazione con lo spazio, delle opere, facendo emergere in tutta la loro attualità alcune delle tematiche tutt’oggi al centro delle riflessioni artistiche.

Il percorso si apre con la “stanza” dedicata a Luigi Ghirri, grande maestro della fotografia celebre per il suo sguardo inedito sulla rappresentazione del paesaggio. In mostra 30 fotografie pubblicate nel 1989 nel volume Paesaggio italiano per la collana I Quaderni di Lotus. Città diverse, luoghi diversi, ma tutte immagini liriche e allusive, lontane dagli stereotipi e accomunate, come scrive lo stesso Ghirri  “da un leitmotiv che attraversa tematiche, spazi e oggetti” e che lega le fotografie in una sorta di “geografia sentimentale, dove gli itinerari non sono segnati e precisi, ma ubbidiscono a strani grovigli del vedere”.  Paesaggio italiano è parte del Fondo Ghirri della rivista Lotus International, con cui il maestro ha collaborato per circa dieci anni dal 1983 e che comprende oltre 350 fotografie, pubblicazioni originali, testi e materiali di lavoro vari.

Fotografo, teorico, editore, curatore, animatore culturale, Luigi Ghirri (1943-1992) è una figura chiave della cultura visiva contemporanea. Attivo già dalla fine degli anni Sessanta, all’inizio del decennio successivo avvia una significativa sperimentazione intorno al medium fotografico, condotta anche grazie all’uso precoce e originale della pellicola a colori e accompagnata da una componente riflessiva che sarà sempre presente nel suo lavoro. La ricerca di Ghirri muove dall’indagine sulla sua terra d’origine, l’Emilia-Romagna, ed è centrata sulla definizione di una  nuova strategia dello sguardo: la fotografia diviene lo strumento per indagare la realtà circostante, per dare visibilità a luoghi non conformi all’immagine di un’Italia stereotipata, per stabilire una nuova relazione con il territorio e rivelare il mistero più profondo che lo abita.

Mario Schifano
Courtesy: Collezione Jacorossi, Roma

Il secondo ambiente è dedicato a Mario Schifano.  Nelle opere qui esposte (il grande PVC Per Esempio, i dipinti Segni e Ritracciato, i tondi Chi e Dolore) – originariamente presentate a Roma nel 1990 nella mostra Divulgare al Palazzo delle Esposizioni, e nel 1992 in parte danneggiati da un incendio – Schifano torna a meditare sul potere anestetizzante della televisione, insieme feticcio e ossessione personale. soffermandosi sull’esposizione costante a una overdose di immagini sempre più svuotate di significato.

Pittura, fotografia e film sono state le tre modalità in cui si è sempre articolata la ricerca di Mario Schifano (1934-1998). Sin dai primi anni Sessanta l’artista è stato uno dei protagonisti della «figurazione novissima», vicina alla Pop Art, e un osservatore acuto dei simulacri della società di massa, resi in forme frammentarie e impersonali su sfondi monocromi che sembrano ricordare schermi cinematografici o televisivi. Dagli anni Settanta in poi il riferimento televisivo diventa sempre più importante, soprattutto con i Paesaggi T.V., sequenze televisive fotografate e poi riportate sulla superficie pittorica.

Due le opere in mostra di Luciano Fabro, figura tra le più note dell’Arte Povera: Enfasi (Baldacchino) e Italia all’asta. Enfasi – sorta di baldacchino sospeso in alto, in lamiera di rame e allumino, con 18 tondi metallici su cui sono sbalzati dei volti – rimanda a una antica copertura dagli echi sacrali. Italia all’asta appartiene a una delle serie più note dell’artista, Italie, riflessione sull’identità nazionale avviata nel 1968. L’opera, del 1994, rappresenta due sagome della Penisola, una delle quali capovolta, entrambe appese a un’asta e, nell’allestimento curato insieme alla figlia Silvia Fabro, messe all’angolo.

Impegnato nel rinnovamento della scultura sin da metà anni Sessanta, figura tra le più note dell’Arte Povera, teorico e insegnante appassionato, Luciano Fabro (1936-2007) è stato uno dei protagonisti del panorama artistico internazionale. La sua ricerca si è concentrata su ibridazioni e accostamenti inediti di materiali, tecniche, suggestioni figurative e aspetti concettuali del linguaggio scultoreo, in un constante dialogo con la realtà storica e culturale del suo tempo.

Le due tele Bianco argento e Bianco argento 3 di Carla Accardi riflettono l’indagine sul segno che ha accompagnato l’artista per tutta la sua carriera e che qui si fa semplificato e geometrico. Le tele dialogano con l’installazione Casa Labirinto, esposta per la prima volta a Palazzo Doria Pamphilj di Valmontone nel 2000: un parallelepipedo in perspex su cui Accardi ha tracciato segni neri e grigi. Qui pittura, architettura e simbolo diventano un tutt’uno e la trasparenza stessa diventa spazio tridimensionale.

Carla Accadi, Casa Labirinto, 1999-2000
vernice su Perspex, base in legno
Courtesy: Archivio Accardi Sanfilippo, Roma

A partire dal debutto nel 1947 con il gruppo astrattista Forma 1 e fino alla scomparsa, Carla Accardi (1924-2014) è stata una delle figure più originali dell’arte in Italia. La sua ricerca si è subito orientata verso il segno astratto, condensato sin dai primi anni Cinquanta nella sua cifra più caratteristica, un «nugolo» di segni allacciati gli uni agli altri e disposti su sfondi monocromi. A partire da metà anni Sessanta l’artista sostituisce alla tela un supporto di plastica trasparente semirigida, il sicofoil, su cui applica segni intensamente colorati che talvolta rivestono anche i telai retrostanti; tale gesto libera il segno nello spazio conferendo carattere tridimensionale a queste accumulazioni. L’indagine sul segno accompagnerà l’artista lungo tutta la sua carriera sino alle opere più recenti, come le due tele Bianco argento in mostra, su cui appaiono segni semplificati e geometrici, tipici dello stile della maturità.

Maestro dell’Arte Povera, Jannis Kounellis, è presente in mostra con  la potente installazione Senza titolo del 2014. Presentata per la prima volta a Todi e poi a Londra nel 2014, è tra le ultime realizzate dall’artista. In quest’opera, dove grandi coltelli da macellaio che trafiggono cappotti neri a brandelli avvolgono lo spazio, Kounellis parla della condizione umana e delle sue ferite.

Giunto dalla Grecia a Roma nel 1956, dove ha vissuto e lavorato sino alla scomparsa, Jannis Kounellis (1936-2017) è una delle figure più note dell’Arte Povera. Dalla seconda metà degli anni Sessanta in poi il vocabolario del suo lavoro si compone di materiali elementari (lana, carbone, oro, ferro, pietra, piombo, caffè, legno, ecc.), di fiamme libere, di calchi di statue, di mobilio e abiti, di piante e animali viventi, come nella memorabile esposizione di dodici cavalli alla galleria L’Attico di Roma nel 1969. Il ricorso a materie non tradizionali, così come alla musica o alla performance, consente a Kounellis di superare i limiti della scultura, di espanderla nello spazio e nel tempo in installazioni concepite come visualizzazioni di potenti flussi di energia plastica e simbolica. Con lo sguardo rivolto sia alla tradizione artistica e culturale che alle tragedie storiche e alle utopie del XX secolo, l’opera di Kounellis ha esplorato con grande intensità la dimensione antropologica e quella politica dell’esperienza di creazione, seguendo le direttrici di un lucido umanesimo e di una intransigente «passione per il reale».

Senza titolo, 2014
ferro, coltelli e cappotti / iron, knives and coats
Courtesy: Estate of Jannis Kounellis and Sprovieri Gallery, London
Spiette, 36, 1991
Installazione in situ, 36 elementi: gesso e vetro a specchio / Installation in situ, 36 elements: plaster and mirror glass
Collezione MAXXI / MAXXI Collection

In Spiette (1991) qui per la prima volta allestita a dimensione ambientale, Paolo Icaro punteggia lo spazio con 36 piccole forme di gesso nelle quali sono incastonati frammenti di vetro specchiante. Posizionate con diverse angolazioni, le Spiette si riflettono l’una con l’altra e sembrano tessere una invisibile trama di sguardi.

A partire da metà anni Sessanta la ricerca di Paolo Icaro (1936) integra alla scultura una riflessione tanto sui suoi caratteri spaziali quanto su suoi aspetti temporali e mentali. Per Icaro lo spazio va esperito con il corpo e ricercato nel divenire del tempo, in una dimensione in cui progetto e caso, intimità e ironia si fondono in un continuo fare e disfare della forma e del pensiero. Dopo aver partecipato alle prime mostre dell’Arte Povera e alle principali rassegne internazionali della Process Art, a partire dagli anni Settanta segue un percorso indipendente, al di fuori di gruppi e tendenze, che lo porta in luoghi diversi – da Torino a Roma, da New York a Genova – seguendo il filo della sua personale esplorazione dei materiali e dei limiti del linguaggio scultoreo, sino alla completa decostruzione della forma.

Claudio Parmiggiani ha ideato appositamente per il MAXXI Senza titolo, una delle sue famose delocazioni,  opere che realizza impiegando fuoco, fumo e fuliggine che rivelano la sagoma di oggetti assenti. Uno dei soggetti più di frequente trattati con questo metodo è il libro: forma simbolica dal valore culturale e sapienziale di lunga durata, ma anche solida entità materiale dalla ricca storia formale.

Claudio Parmiggiani (1943), uno degli artisti italiani più noti a livello internazionale, ha scelto per sé la condizione di «appartato», lontano cioè dai gruppi e dalle tendenze che hanno dominato il secondo Novecento, al punto di arrivare a definirsi, in uno dei suoi testi, uno «stilita», una figura eremitica. Sin dagli esordi a metà anni Sessanta, con la sua opera riflette sulla natura delle immagini, le loro radici culturali e le loro risonanze emotive, utilizzando una gamma ampia di materiali e di tecniche, dalla fotografia al calco, dal frammento all’impronta e all’assemblage. Temi ricorrenti del lavoro di Parmiggiani sono la solitudine, il silenzio, la memoria, un’attitudine che concilia la più profonda spiritualità e il materialismo più radicale.  Le sue sculture d’ombra, come sono state definite, spesso evocano corpi e oggetti scomparsi, evitando sempre il puro gioco intellettuale che il più delle volte accompagna i temi dell’assenza e della traccia.

Claudio Parmiggiani, Senza titolo, 1998-2020
fumo e fuliggine su tavola
Collezione MAXXI

L’interazione tra diversi mezzi espressivi, che emerge chiaramente nell’allestimento qui proposto e pensato per questa occasione, caratterizza il lavoro di  Anna Maria Maiolino, artista di origine italiana che vive e lavora in Brasile. In mostra una serie di opere che riflettono la commistione di linguaggi, tra sculture, fotografie e disegni, di diversa provenienza, che raccontano il percorso di questa artista particolarmente impegnata nell’indagare il ruolo sociale della donna.

Nata in Italia nel 1942, Anna Maria Maiolino si trasferisce nel 1954 con la famiglia in Venezuela e successivamente in Brasile, a Rio de Janeiro, dove dal 1960 frequenta la Escola Nacional de Belas Artes. Qui incontra artisti come Antonio Dias e Rubens Gerchman e viene in contatto con esponenti del movimento neo-concreto come Lygia Clark e Lygia Pape, avvicinandosi alla loro concezione – espressa nel manifesto Teoria do não-objeto di Ferreira Gullar – dell’oggetto artistico come un «quasi-corpo» che attiva una forma di conoscenza sensoriale. Questa filosofia, insieme con la fascinazione per la materia, influenza fin dagli esordi a fine anni Sessanta la pratica dell’artista.

Il percorso si chiude con la “stanza” dedicata a Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi, capisaldi della ricerca sull’immagine in movimento negli ultimi decenni, cui  il MoMA di New York e il Centre Pomipdou di Parigi hanno dedicato importanti retrospettive. senzamargine è un doveroso omaggio a questo straordinario duo di artisti, con il corpus di opere Dal Polo all’Equatore, che comprende un film, un grande rotolo disegnato e altri lavori su carta.

Sin dai primi anni Ottanta Yervant Gianikian (1942) e Angela Ricci Lucchi (1942-2018) costruiscono i loro film su pellicole d’archivio, recuperate e valorizzate per esplorare gli aspetti politici, storici e antropologici delle immagini in movimento e ridiscuterne le tradizionali categorie narrative. Tra il 1984 e il 1986 i due artisti realizzano Dal Polo all’Equatore basandosi sugli archivi del cineasta e documentarista Luca Comerio (1878-1940), ricchi di materiali filmati nel periodo tra le due guerre mondiali. Vi ritrovano temi come il viaggio, l’esplorazione, la conquista, la sottomissione culturale e religiosa delle popolazioni africane, l’avventura esotica, l’oppressione militare e coloniale.

In occasione della mostra, grazie al finanziamento del MiBACT, sono in corso di acquisizione le seguenti opere: Lugi Ghirri, Fondo Lotus International; Luciano Fabro, Italia all’asta, 1994; Carla Accardi, Bianco argento, 2000 + Biancoargento 3, 2001; Jannis Kounellis, Senza titolo, 2015; Paolo Icaro, Spiette, 36, 1991; Claudio Parmiggiani, Senza titolo, 1998-2020; Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi, corpus Dal Polo all’Equatore, 1982-1986, oltre all’intero archivio di Superstudio e due modelli della Ville Spatiale di Yona Friedman.

Anna Maria Maiolino
foto © Musacchio, Ianniello & Pasqualini

Dice Giovanna Melandri: “Sono particolarmente orgogliosa  di questo progetto. La collezione di arte, architettura e fotografia  è l’anima del MAXXI, la sua identità. Incrementarla, conservarla e renderla fruibile è la principale missione del Museo nazionale del contemporaneo. In questi primi 10 anni, è stato fatto molto per  ampliarla e valorizzarla, solo la collezione Arte è più che raddoppiata, e altrettanto e di più  faremo nei prossimi 10. Ringrazio il MiBACT, socio fondatore della Fondazione MAXXI, il Ministro Dario Franceschini e il Parlamento tutto: ora le opere di questi grandi maestri diventano patrimonio collettivo di tutti gli italiani. E ringrazio gli altri soci della Fondazione MAXXI, Regione Lazio e Enel, fondamentali  per il museo”.

Alberto Boatto. Lo sguardo dal di fuori (a cura di Stefano Chiodi)

Alberto Boatto è stato uno dei più originali e influenti critici d’arte italiani del secondo Novecento. Testimone diretto delle radicali trasformazioni nelle pratiche artistiche a lui contemporanee, ha avuto sempre una posizione caparbiamente indipendente, affidando alla scrittura un ruolo fondamentale. Questa mostra presenta una significativa selezione dal suoarchivio personale, formato da corrispondenza, manoscritti e dalle sue numerose pubblicazioni, dalla famiglia generosamente donato al MAXXI nel 2019. Vi si ritrovano tutti gli aspetti del suo lavoro intellettuale, gli scambi con amici, artisti, critici e scrittori, i quaderni di appunti, le prime stesure dei suoi libri e alcuni testi inediti di grande interesse. La somma di una vita di pensiero e di scrittura che si offre ora all’attenzione del pubblico e alle ricerche degli studiosi.

Omaggio a Claudia Gian Ferrari (a cura di Anne Palopoli)

Con l’intenzione di promuovere, diffondere, rendere accessibile l’arte da lei più amata, Claudia Gian Ferrari si è impegnata negli ultimi anni della sua vita in importanti donazioni per arricchire il patrimonio di diverse collezioni pubbliche. Nel 2010, ha donato al MAXXI oltre 50 opere d’arte contemporanea della sua collezione nella casa romana davanti alla Basilica di Santa Maria Maggiore. La mostra è allestita seguendo un percorso che ricostruisce la cronologia delle acquisizioni del suo lascito, raccontando così l’evolversi dei suoi interessi e i fermenti e le tendenze di trent’anni dell’arte contemporanea. In mostra, tra gli altri, lavori di Stefano Arienti, Pier Paolo Calzolari, Chen Zen, Bruna Esposito, Kendell Geers, William Kentridge, Ansel Kiefer, Urs Lüthi.

Premio italiano di Architettura e YAP Rome at MAXXI (a cura di Pippo Ciorra)

Alla fine della Galleria 1, una mostra presenta i progetti finalisti e vincitori di due importanti premi: il Premio italiano di Architettura, promosso con Triennale Milano, quest’anno alla prima edizione,  e YAP Rome at MAXXI, organizzato con il MoMA e MoMA PS1, che testimoniano il costante impegno del MAXXI nella valorizzazione della qualità architettonica del nostro paese e nella promozione di giovani talenti.

Senzamargine – Passaggi nell’arte italiana a cavallo del millennio – MaXXI Roma

INFORMAZIONI

  • Luogo: MAXXI – MUSEO DELLE ARTI DEL XXI SECOLO
  • Indirizzo: Via Guido Reni 4a – Roma – Lazio
  • Quando: dal 02/02/2021 – al 10/10/2021
  • Vernissage: 02/02/2021 no
  • Curatori: Bartolomeo Pietromarchi
  • Generi: collettiva, arte contemporanea