È visitabile fino al 30 gennaio al Museo Accorsi Ometto di Torino una mostra avvincente sull’avventura de Les Italiens nella Parigi degli anni ‘20: Giorgio de Chirico, Alberto Savinio, Massimo Campigli, Filippo de Pisis, René Paresce, Gino Severini.
PARIGI ERA VIVA, de Chirico, Savinio e Les Italiens de Paris (1928-1933), curata da Nicoletta Colombo e Giuliana Godio, propone una selezione di opere realizzate in un solo quinquennio a Parigi da sette tra i più grandi artisti della Pittura italiana del XX secolo.
“La modernità, questo gran mistero, abita ovunque a Parigi. Come Atene ai tempi di Pericle, Parigi è oggi la città per eccellenza dell’arte e dell’intelletto”.
Come racconta la curatrice della mostra nel saggio in catalogo (edito da Silvana editoriale) questa celebre frase di de Chirico“[…] è tratta da un lungo articolo di Giorgio de Chirico dal titolo emblematico Vale Lutetia, che rende esplicito omaggio alla capitale francese, dall’autore designata intenzionalmente con il suo corrispondente appellativo gallo-romano (Lutetia). Il testo introduce fin dal 1925, quindi con due anni di anticipo sulla data di aggregazione dei sette componenti del gruppo degli Italiens de Paris, quel sincretismo tra classicità e modernità offerto da Parigi a una koinè culturale cosmopolita, proveniente dall’Est Europa, da Germania, Polonia, Inghilterra, Spagna e attiva già dai primi anni del secolo quanto in epoca postbellica […].
La mostra, che pone dunque come limite temporale e geografico un orizzonte ben definito, ha richiesto oltre due anni di ricerche e si avvale di prestiti prestigiosi: dalla Banca Monte dei Paschi di Siena alla Civica Raccolta MIAC – Museo Novecento, Firenze; dalla collezione di Palazzo del Montecitorio-Camera dei Deputati, alla Fondazione Musei Civici di Venezia, Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro; dalla Gallerie degli Uffizi, Galleria d’Arte Moderna di Firenze al Mart – Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto e altre importanti istituzioni. Completano la mostra numerose opere di diverse collezioni private raramente viste, tra cui il “Pericle” di Giorgio de Chirico, ricomparso sul mercato delle aste solo due anni fa dopo essere stato venduto negli anni ‘30 a New York. Il titolo dell’esposizione si ispira a “Parigi era viva” (1948, riveduta e ampliata nel 1966) autobiografia di Gualtieri di San Lazzaro – pseudonimo di Giuseppe Antonio Leandro Papa – scrittore, editore e critico d’arte italiano, emigrato a Parigi – in cui vengono raccontate in terza persona la vita e le vicende lavorative proprie legate ad episodi di Picasso, di Matisse e de Les Italiens che lo scrittore ebbe modo di frequentare nella Parigi degli anni ‘20.
La vicenda del “Gruppo dei sette” inizia ufficialmente nel 1928, anche se tutti i componenti sono presenti e operativi nella Ville Lumière da tempo. Parigi è il sogno e il mito di ogni artista: Severini vi si stabilisce nel 1906; de Chirico vi approda una prima volta nel 1911 per tornarvi nel 1924; suo fratello Andrea (che si sarebbe poi firmato “Alberto Savinio”) vi soggiorna già nel 1910 e nel 1926; Paresce arriva nel 1912, Tozzi e Campigli nel 1919 e De Pisis nel 1925. Il linguaggio stilistico dei Sept, al di là delle diversità tematiche e stilistiche individuali, si orienta verso un nuovo classicismo mediterraneo trasognato, con qualche inflessione surreale e neometafisica, in equilibrio tra reale e fantastico, storia e mito, tradizione e avanguardia.
Il percorso espositivo
La rassegna è suddivisa in sette sezioni, ognuna delle quali è dedicata a un artista. In una saletta sono raccolti una dozzina di disegni, eseguiti tra gli anni Venti e Trenta del Novecento, da Giorgio de Chirico ad Alberto Savinio, Gino Severini e René Paresce.
Il percorso comincia con uno strepitoso autoritratto di Giorgio de Chirico che testimonia l’alchimia del demiurgo-artista nel mistero del proprio atelier. Nelle sue opere si ritrovano i rimandi metafisici (un bellissimo Le cabine misteriose, 1934 ca., Le muse in villeggiatura 1927 c.); i richiami classici di Pericle 1925, un’opera d’intonazione misterica, o di Grenades avec buste ancien 1923 c.; interessanti i riferimenti ai corpi dipinti da Renoir (Bagnante 1928-1930 e di Nudo 1930 c.), pittore che molto stimava. Non mancano le reminiscenze dell’antica Grecia e frammenti di reperti archeologici (Sibille in riva al mare 1937 c.; Cavalli antichi 1929 c., Cavalieri e guerrieri in riva al mare 1931 c.). Si prosegue con Alberto Savinio: La fille de la statue 1926-1927 mescola antico e moderno, mettendo a confronto il mondo borghese con la scultura classica. La serie di uomini dai volti di manichini, composti da assemblaggi di corpi nudi, si riconosce in Senza titolo o Il ritorno di Ulisse del 1928 c., mentre l’elaborazione di paesaggi immaginari, caratterizzati da elementi geometrici diversi fluttuanti nell’aria come giocattoli, è riscontrabile in Le navire perdu 1928 c., Tombeau d’un roi maure 1929 e Epître aux Ethiopiens 1929 c. Ritratto di Jeanne Castel 1929, Ritratto di Roger Lacombe 1930, Fräulein Liesbeth 1932 c., Ritratto di Achille Funi 1931 c. compongono un nucleo ben definito, un genere sviluppato dall’artista a cavallo tra gli anni Venti e Trenta e indirizzato a personalità del mondo culturale e artistico. Dal 1930 Savinio realizza nuove ibridazioni metamorfiche tra corpi umani e teste di animali (Papera 1930-1931 e Penelope 1940), recupera l’esempio classico riportandolo alla contemporaneità (Arianna 1939 c.) e ripropone la dimensione metamorfica tra realtà e valori cosmici, tra umano e sovrumano (Fine del combattimento degli angeli, 1930).
Massimo Campigli esplicita i suoi riferimenti a modelli etruschi (Le Educande o Passeggiata delle educande 1929-1930) e rupestri (Le arciere 1933). La figura femminile è sempre al centro delle sue opere: in Le spose dei marinai 1934 si trova il tema caro al pittore delle spiagge animate da fanciulle in costume che hanno perso ogni connotazione fisiognomica e sono diventate allegorie della speranza; in Violini (Concerto), 1934 c. prevale la costante ricerca dell’armonia, che è anche armonia matematica e musicale in senso platonico; in Figura di donna, 1935 c. i rimandi guardano più a Picasso che all’Etruria. Infine in Ondine al sole, 1949 le donne si sono tradotte in simboli, in segni di una scrittura pittografica che rappresenta l’eternità della vita.
Filippo de Pisis e la sua pittura frammentaria – “a zampa di mosca”, come ingegnosamente la definiva Eugenio Montale – si trovano nella quarta sezione. L’artista mette in scena nature morte (Natura morta con il pesce e le rose 1926) e paesaggi veloci e scattanti (La Coupole 1928, Strada di Parigi 1938 e Viale di Parigi 1938) in cui alla luminosità del colore alterna l’uso sapiente dei neri e dei grigi, degli azzurri polverosi, svolti in narrazioni spesso audaci e neometafisiche. Anche in Interno dello studio di Parigi, 1931 i rapporti di luce sono giocati con scatti timbrici e discontinui e in Trebbiatura a Gers, 1934 prevale una delicata attenzione al colore abbinata a una pennellata fulminea e rarefatta.
René Paresce è il protagonista della quinta sezione: l’intenso e malinconico Autoritratto 1917 c. segnala, attraverso lo smarrimento dello sguardo, il disorientamento dovuto al drammatico transito storico che procede di pari passo con l’emersione della difficile fase del Ritorno all’ordine. In Natura morta, 1926 l’artista affronta la costruzione architettonica, nata dall’accorpamento di elementi geometrici giocati su diversi piani, al modo del cubismo di Georges Braque. L’inquietudine maturata verso il 1935 dà vita a dipinti come Circo con palla rossa, 1936 in cui figure larvali fluttuano in uno spazio indistinto e riportato al punto-zero, al primordio della vita.
Nella sesta sezione il protagonista è Gino Severini: l’artista, tra il 1928 e il 1929, inserisce in scenografie neopompeiane personaggi della Commedia dell’arte, Pulcinella, Colombina e Arlecchino, che diventano protagonisti di temi amorosi, musicali e poetici (La leçon de musique, 1928-1929). Maschera e resti archeologici sono presenti anche in Natura morta con maschera, 1929 c., una pittura su vetro, tecnica riscoperta dallo studio di antiche iconografie e di tecniche romane “minori”. Una costante ispirazione musicale caratterizza il ritratto di Pulcinella con il clarino 1929 c., mentre si ritrova la vocazione classica severiniana in una preziosa serie di nature morte realizzate alla fine degli anni Venti, in cui reperti di arte romana si assemblano in affascinanti combinazioni con scenografici tendaggi e strumenti musicali (Natura morta o Tenda e mandolino 1929 c.). Maternità – Natura morta 1927-1928, si articola entro i confini di una scatola architettonicamente perfetta, in cui la maternità, tema caro all’autore, è ridimensionata in una quinta laterale, soluzione che potenzia il ruolo da protagonista di una natura di levigata e austera purezza formale.
La mostra si conclude con l’opera di Mario Tozzi: a partire dal 1924 l’artista matura l’idea di divulgare la conoscenza in Francia dell’arte italiana attraverso l’esposizione della nostra pittura e scultura contemporanea a Parigi. Egli sostiene l’universalismo dello “spirito italiano” nel più vasto orizzonte di una rigenerata “rinascita classica” dell’arte moderna. La ricerca di plasticità e di volumetria segue un processo di riplasmazione della materia e delle forme, con forti riferimenti a Cézanne e a Derain (Table garnie, 1922 c.). La ricerca di una sintesi sapiente delle masse si perfeziona nel profilo enigmatico e neometafisico di Le bonnet basque o Lo specchio 1928 c. Tra il 1929 e il 1930 l’universo di Tozzi si popola di figure archetipiche, architettoniche, realistiche e insieme idealizzate. La tensione plastica giunge al culmine in anatomie morfologicamente classiche, plasmate in busti cilindrici, in teste ovoidali, costruite con una materia argillosa e orchestrate in scenari silenziosi di conciliazione tra antico e moderno, concreto e astratto. Ne sono esempi magistrali L’Officina dei sogni, 1929 c., Personaggi in cerca d’autore, 1929 c. e Hommage à Claudel, 1930.
PER INFO
PARIGI ERA VIVA, de Chirico, Savinio e Les Italiens de Paris (1928-1933)
Fondazione Accorsi – Ometto Museo di Arti Decorative