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Left: Fragment of a floor mosaic with a personification of Ktisis, 500–550, with modern restoration. Byzantine. Marble and glass. The Metropolitan Museum of Art, New York, Harris Brisbane Dick Fund and Fletcher Fund, 1998; Purchase, Lila Acheson Wallace Gift, Dodge Fund, and Rogers Fund, 1999 Right: Domenico Dolce and Stefano Gabbana for Dolce & Gabbana. Ensemble, autumn/winter 2013–14. Courtesy of Dolce & Gabbana. Digital composite scan by Katerina Jebb

“Heavenly Bodies”: il Met ripensa al legame tra moda, sacralità e musei

Fino all’8 ottobre, il Met di New York con “Heavenly Bodies” fa dialogare abiti sacri e haute couture, rafforzando il legame tra musei, moda e sacralità.

Nel 2007 Esquire aveva nominato Papa Benedetto XVI “Accessorizer of the year”, grazie ai mocassini di pelle rossa realizzati dalla bottega artigiana di Adriano Stefanelli. A distanza di poco più di dieci anni, moda, chiesa e arte si incontrano di nuovo per uno degli eventi più importanti dell’anno del Metropolitan Museum di New York: la collezione temporanea organizzata dal Costume Institute.

Stavolta il tema è “Heavenly Bodies: Fashion and the Catholic Imagination”, un connubio che ad alcuni potrebbe sembrare anche inopportuno, ma che, in realtà, ha radici antiche e solide. D’altra parte, basta pensare alla simbologia dell’abito nelle varie religioni e al modo in cui questi sono stati declinati in secoli di storia dell’arte. Per altro, lo stesso Vaticano ha prestato al Met alcuni degli oggetti conservati nella Sacrestia della Cappella Sistina, dalla quale non erano mai usciti. Già un’altra volta, oltre trent’anni fa, il Vaticano aveva collaborato con il Metropolitan per “The Vatican Collections: The Papacy and Art”, ma in quell’occasione erano stati coinvolti soprattutto dipinti e sculture, tra i quali l’Apollo del Belvedere, il San Girolamo di Leonardo e la Deposizione di Caravaggio.

“Heavenly Bodies” durerà sei mesi – fino all’8 ottobre – a differenza dei tre che vengono solitamente dedicati a queste esposizioni temporanee, come a sottolinearne la sacralità, e nelle varie sale è possibile vedere come l’haute couture dialoga con la Chiesa. Con un’eccezione. Gli oggetti del Vaticano, infatti, non si mescolano agli abiti, ma vengono raccolti nell’Anna Wintour Costume Center: la Casula di Pio XI, la tiara di Pio IX, le scarpe di Giovanni Paolo II sono soltanto alcuni degli oltre quaranta prestiti provenienti da Roma. In una selezione ricca, di significato e decorazioni, che comprende anche due doni storici come la tiara coperta da 19.000 diamanti e pietre preziose offerta da Isabella II di Spagna a Papa Pio IX e la mitra che Papa Pio XI ricevette in occasione della firma dei Patti Lateranensi.

Chasuble (back) of Pius XI (r. 1922–39), 1926. French. Courtesy of the Collection of the Office of Liturgical Celebrations of the Supreme Pontiff, Papal Sacristy, Vatican City. Digital composite scan by Katerina Jebb

Le influenze degli altri abiti sono soprattutto cattoliche, ma non mancano i rimandi alle chiese d’oriente: la particolarità è che non vengono esposti soltanto i vestiti ma anche le opere alle quali si ispirano: ecco allora un frammento di un pavimento a mosaico, di era bizantina, con la raffigurazione della personificazione di Ktisis che rimanda a un Dolce e Gabbana della collezione autunno/inverno 2013/2014 o una croce processionale risalente al 1000-1050 vicino a un abito da sera di Gianni Versace.

Ma c’è di più: oltre a croci di vari stili e dimensioni, in mostra anche il vestito papale disegnato da John Galliano per Dior, la veste statuaria per la Vergine di El Rocio di Yves Saint Lauren e l’abito di Valentino, disegnato da Maria Grazia Chiuri e Piepaolo Piccioli, che rappresenta l’Eden di Lucas Cranach del 1526.

Maria Grazia Chiuri and Pierpaolo Piccioli for Valentino. Evening dress, spring/summer 2014 haute couture. Courtesy of Valentino S.p.A. Digital composite scan by Katerina Jebb

Tutto è stato pensato a fondo, anche i manichini: le teste si ispirano alla Pietà di Michelangelo e alla scultura di Giovanna d’Arco di Prosper d’Epinay, in una continua combinazione tra arte, sacralità, storia e scultura. E d’altra parte questo non deve sorprendere: la moda è già un’arte, che sempre più spesso dialoga in maniera efficace con pittura, scultura e musei. Basti pensare alle sfilate di Gucci all’Abbazia di Westminster o alla Galleria Palatina di Firenze – con una collezione che rimandava al Rinascimento, con riferimenti a Leonardo e Raffaello –, o a Luis Vuitton che lo scorso anno ha chiesto a Jeff Koons di coniugare Tiziano, Van Gogh e Fragonard e le sue borse, o ancora a Fendi che, in occasione dei suoi 90 anni di storia, ha sfilato sulla fontana di Trevi.

Un connubio sempre più vincente, che ha la doppia forza di avvicinare le persone all’arte attraverso i vestiti, e far uscire la moda da un circolo visto, troppo spesso, come superficiale.

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