Prosegue fino al 1 dicembre presso la sede di Tornbuoni Arte a Londra Afro, Gesture line and colour: the making of an Abstract Expressionist, in collaborazione con la Fondazione Archivio Afro.
L’opera del grande maestro italiano Afro Libio Basaldella (1912-1976) è stata oggetto di una recente grande mostra presso la sede parigina di Tornabuoni, in occasione del 60° anniversario del monumentale “Giardino della Speranza”, realizzato nel 1958 dall’artista per la sede UNESCO di Parigi, del quale sono stati pubblicati in catalogo i bellissimi disegni preparatori. La mostra londinese si focalizza su una ventina di lavori realizzati tra gli anni ’50 e gli anni ’70 e pone all’attenzione del visitatore la produzione successiva ai primi viaggi negli Stati Uniti, dove l’artista trascorse lunghi periodi ed ebbe modo di sviluppare uno stile personale unico, frutto della contaminazione tra le influenze dell’espressionismo astratto americano e della grande tradizione veneta del colore e della linea che egli adottava per la composizione.
Dopo l’esperienza americana l’artista aderì al Gruppo degli Otto (1952) riunitosi intorno alla figura del critico Lionello Venturi, intervenne alla prima edizione di Documenta di Kassel (1955), e fu premiato come pittore alla Biennale di Venezia (1956). Nelle opere in mostra, scelte e organizzate secondo un andamento cronologico che illustra perfettamente i diversi momenti della ricerca, si assiste al passaggio dai primi lavori, ancora influenzati dal Cubismo, sino ad una crescente elaborazione delle linee e delle campiture che virano verso una maggiore forza espressiva, seppure sempre mantenendo una tecnica meditata che procede per successive velature e rimarca l’importanza del disegno preparatorio e del colore.
L’incontro con l’America (la prima mostra fu Five Italian Painters, ospitata alla Catherine Viviano Gallery, nota per aver introdotto molta arte italiana di quegli anni sulla scena americana, e con la quale Afro collaborerà per circa vent’anni) lo pone di fronte a nuove soluzioni formali (su tutti Pollock, ma anche De Koonig, che diventerà suo grande amico e dividerà lo studio romano dell’artista) che Afro saprà cogliere e rielaborare con una pittura più gestuale e rapida, pur mantenendo salda la sua identità artistica. Gli ultimi lavori dimostrano una maggiore attenzione ad un segno geometrico e una scelta cromatica sintetica, a tinte fredde.
In occasione dell’inaugurazione della mostra, lo scorso 2 ottobre, si è svolta alla presenza di un folto pubblico e del nipote dell’artista (che orgogliosamente porta il nome del nonno) un’interessante conversazione che ha visto tra i relatori Marco Mattioli, direttore della Fondazione Archivio Afro, Barbara Drudi, professoressa all’Accademia di Firenze e studiosa di Afro, e Philip Rylands, Direttore Emerito della Peggy Guggenheim Collection di Venezia, che ha scritto il saggio per il catalogo che accompagna la mostra. Ne emersa una riflessione attenta sulla fortuna critica del grande maestro, che seppur considerato negli anni ’50 tra i maggiori pittori italiani a livello internazionale (molte le sue opere nei musei statunitensi anche grazie al lavoro attento di Catherine Viviano) subì una decisa flessione nei decenni successivi, forse dovuta all’insorgenza di un nuovo linguaggio, minimalista e successivamente pop, che subentrò all’arte informale anche da un punto di vista collezionistico. Oggi la lezione di Afro è nuovamente al centro dell’attenzione di molti studiosi, che ne riconoscono la grande portata in termini tecnici ed espressivi nel contesto internazionale. In particolare Philip Rylands vede in Afro la risposta italiana all’Espressionismo astratto e un esempio straordinario del dialogo tra Italia e Stati Uniti nei primi anni del dopoguerra, stagione di grandi fermenti in cui gli artisti superarono il confine della figurazione per la materia come arte in se stessa, conferendo nuova dignità al segno e al gesto: Scrive Rylands:”[…]Afro was one of the leading Italian painters of the very talented and numerous generation of artists that flourished in the decades following World War II. He was as successful internationally, above all in the United States, as hewas in Italy. Afro’s career and work provide an interesting case study of the relative values of new European and American art in that period […].
Nell’opera del grande maestro, da un punto di vista della rappresentazione, si assiste ad una progressiva astrazione che è emotiva e lirica, più che formale, tenuto conto anche del carattere autobiografico della sua produzione: ricordi a cui l’artista ricorre per fermarne sulla tela i sentimenti che essi suscitano nuovamente: […] La forma pittorica può avere anche valore di apparizione? L’organismo rigorosamente formale di una pittura può contenere ala leggerezza, il respiro di una evocazione, l’improvviso soprassalto della memoria? E’ questo per me il problema; in questo consiste la irrequietezza continua che mi stimola a dipingere.[…] Il quadro deve essere un modo chiuso; il “dramma” non può svolgersi che là dentro. Soltanto su questa scacchiera si perde o si vince interamente. Afro, New Decade, 1955.
Questo brano (scritto in occasione della storica mostra The New Decade: 22 European Painters and Sculptors che, dopo l’esordio al Museum of Modern Art di New York, girò tra varie città degli Stati Uniti) illustra splendidamente il bivio concettuale davanti al quale si trovò Afro e che risolse brillantamente in veri e propri capolavori di equilibrio tra astrazione e lirismo come Racconti di Guascogna del 1951 e su tutti Ragazzo col tacchino del 1955, un’esplosione di gradazioni di rossi che inchioda il visitatore per armonia di segno e colore. La stessa che seppe trasferire anche nella bellissima produzione orafa: nella Roma del dopoguerra il gioielliere Mario Masenza, per rilanciare un mercato orafo in sofferenza, decise di affidare agli artisti, sia scultori che pittori, il disegno dei monili per produrre pezzi esclusivi “esemplari unici firmati dagli autori”. Alla mostra parteciparono Afro, suo fratello Mirko, Franco Cannilla, Pericle Fazzini, Leoncillo, Guttuso…anche nel campo dell’oreficeria Afro seppe perseguire un espressionismo lirico che non dimentica il disegno, evidente nel raffinato controllo del dato cromatico sublimato in un attento accostamento delle pietre, teso, come nella pittura, verso un’astrazione emotiva, di cui fu indiscutibile maestro.
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