Intervista al direttore del MAO, Marco Guglielminotti Trivel

Marco Guglielminotti Trivel

Incontriamo il neo direttore del Museo d’Arte Orientale di Torino, Marco Guglielminotti Trivel (subentrato a Marco Biscione, dimessosi lo scorso anno e oggi alla direzione di M9, il nuovo polo museale di Mestre) in occasione del decennale del museo, inaugurato nel dicembre 2008.

Guglielminotti Trivel, torinese di nascita, è una delle anime del MAO sin dalla sua costituzione: conservatore per l’Asia Orientale, ha contribuito alla prima apertura al pubblico del museo nel 2008 e al riallestimento della galleria dedicata alla Cina nel 2015. Laureato nel 1995 all’Università di Torino in Lingua e Letteratura Cinese e dottorato in archeologia cinese a ‘L’Orientale di Napoli, ha promosso e partecipato a progetti di studio e ricerca con partner italiani e stranieri; nel corso degli anni ha progettato e curato mostre nazionali e internazionali, e i loro rispettivi cataloghi, tra le quali vale la pena ricordare Cavalli Celesti. Raffigurazioni equestri nella Cina antica e Riflessi d’Oriente. 2500 anni di specchi in Cina e dintorni.

Direttore, in 10 anni di prospettiva privilegiata (lei è in forza al museo da prima della sua apertura!) ci può raccontare qual è stato il radicamento del MAO sul territorio e come si pone, in termini di riscontro presso il pubblico, anche rispetto agli altri musei di Arte orientale in Italia?

Direi che il MAO ha avuto sin dall’inizio un’ottima risposta: ci siamo radicati bene sul il territorio torinese e piemontese e con le comunità etniche cittadine che lo animano: in particolare abbiamo rapporti con le comunità arabe e cinesi con le quali organizziamo incontri, eventi e progetti in collaborazione, siamo riusciti a catalizzare l’attenzione di diversi nuovi interlocutori, ma il lavoro da fare è ancora tanto e in continuo divenire… A livello nazionale siamo il museo che ha il maggiore riscontro in termini di pubblico rispetto agli altri poli museali che affrontano analoghe tematiche (penso al Museo d’Arte Orientale di Roma ora integrato nel MuCiv, al Museo d’Arte Orientale di Venezia, al Museo Edoardo Chiossone di Genova, ma anche ad altre collezioni di arte orientale dislocate nei diversi musei nazionali). Siamo un museo molto attivo in termini di eventi e mostre, incontri, conferenze, e questo lo ha reso attrattivo per un pubblico sempre più vasto.

Naturalmente l’apertura del MAO nel dicembre 2008 e il periodo successivo è stato il momento di massima affluenza, a cui è seguito un fisiologico decrescendo, in parte dovuto anche alla congiuntura economica sfavorevole di dieci anni fa che, di fatto, ha quasi del tutto bloccato le possibilità di nuove acquisizioni, linfa vitale per un museo. A fine 2014 si è deciso di predisporre, a latere delle collezioni permanenti, uno spazio mostre adeguato per vivacizzare l’attività espositiva, a sostituzione di quello precedente, più contenuto.

Abbiamo quindi liberato la galleria dell’Asia Meridionale che occupava il piano terra e spostato la collezione al primo piano, compattando la galleria cinese. Nel 2015 il nuovo direttore, Marco Biscione, si è trovato a gestire la programmazione di questo nuovo spazio, che ha avuto sin da subito un buon riscontro da parte del pubblico, gli ingressi sono raddoppiati. Oggi vantiamo buoni risultati in termini di affluenza, considerato che siamo un museo che risponde a un interesse specifico.

Lei è in carica dallo scorso novembre, ci può anticipare la sua programmazione museale per il 2019?

Per quanto riguarda la programmazione costante e cadenzata delle mostre temporanee non cambierà l’impostazione degli ultimi anni: l’importante però è che il Museo si faccia propositore di mostre oltre che recettore. In questa prospettiva si cercherà di formulare progetti di mostra sempre più interessanti e originali che possano uscire dai confini nazionali e costituire motivo di interesse anche per realtà museali di altri paesi, che le potranno ospitare come mostre itineranti. Un primo passo in questa direzione è stato fatto l’anno scorso dal mio predecessore con la mostra Le figure dei sogni, incentrata sulle marionette e i burattini nel teatro orientale, mostra che oggi è esposta a Sharjah, negli Emirati Arabi. L’obbiettivo è quindi quello di pensare a mostre che siano attrattive ed esportabili, caratteristiche che consentono di recuperare anche parte del capitale investito e, al contempo, di farci conoscere attraverso canali forti, istituzionali, non soltanto di mera pubblicità. Pubblicità che è comunque sempre importante.

Un aspetto fondamentale è farci conoscere attraverso articoli su giornali e riviste specializzate sia in Italia, sia all’estero. Sono molto felice che una delle prime interviste rilasciate come direttore sia stata pubblicata su un articolo a pagina intera dell’Asian Art Newspaper, che è una delle più autorevoli riviste di settore. Un investimento in termini di comunicazione che adotteremo anche per la grande mostra che inaugurerà in aprile sul rapporto tra l’acqua e l’Islam.

 

Ce ne vuole parlare?

E’ sicuramente l’evento dell’anno per il nostro museo, è una mostra che analizza il rapporto tra l’acqua con la cultura e l’arte islamica, e ne esplorerà le connessioni da un punto di vista antropologico, culturale, religioso, artistico: pensiamo all’importanza di questo elemento per i giardini, gli hammam, le abluzioni… un argomento che si offre allo studio da diverse prospettive.  L’esposizione vanta prestiti importanti da musei europei e extraeuropei, con oggetti che coprono un arco temporale dal XI al XIX secolo, ma altrettanto importanti saranno i concetti svolti, raccontati al pubblico anche grazie ad un allestimento di grande impatto.

 

Pensate di esportarla all’estero?

Abbiamo già avviato contatti significativi per esportare la mostra alla sua chiusura. E’ un progetto di grande importanza anche perché è la prima grande grande mostra che il MAO dedica all’arte islamica, nodale quindi anche in relazione al ruolo istituzionale che il museo riveste: la cultura islamica è al centro del dibattito contemporaneo, ed è fondamentale che il museo si faccia da ponte per il dialogo tra le culture. In autunno avremo una mostra sulla figura della donna guerriero in Giappone, una mostra originale, un po’ meno classica, in grado di attirare pubblici diversi. Contestualmente ci saranno esposizioni più contenute ma altrettanto interessanti: adesso, ad esempio, abbiamo la mostra sulle ceramiche cinesi e, in occasione del Capodanno cinese, Ricami di carta, curata dall’Istituto Confucio dell’Università di Torino con la East China Normal University of Shanghai.

Prevede qualche elemento di discontinuità rispetto al passato?

Cercheremo di riportare l’attenzione sulle collezioni permanenti: ritengo si possano operare dei piccoli interventi a livello espositivo e programmare dei focus per approfondire alcuni aspetti che possono essere dati per scontati. Al momento dell’apertura del museo avevamo a disposizione dei touchscreen come strumenti di divulgazione, a completamento dei pannelli in sala e delle didascalie; erano di grande utilità, perché permettevano di approfondire un oggetto e contestualizzarlo con efficacia. Dobbiamo quindi ripensare l’apparato didattico di accompagnamento nelle sale e valorizzare alcuni oggetti, creare piccoli ma interessanti momenti di approfondimento, nati magari da esigenze conservative ma che abbiano valenza tematica e scientifica. La buona notizia è che pur non avendo fondi per nuove acquisizioni stanno tuttavia pervenendo al museo diverse donazioni private che vorremmo sottolineare e giustamente valorizzare, perché anch’esse costituiscono degli importanti accrescimenti per le collezioni permanenti.

Come si pone nei riguardi del contemporaneo?

Arrivano molte proposte di collaborazioni in questa direzione, abbiamo un contatto con Artissima per il prossimo novembre: aperture necessarie per parlare a pubblici diversi, anche se rimango dell’idea che si debbano sottolineare e valorizzare le collezioni permanenti con mostre ad esse pertinenti: il museo deve essere un luogo che produce cultura, scelta che lo posiziona a livello scientifico e istituzionale. Penso che un bilanciamento tra i due approcci sia la scelta giusta. Vorrei inoltre puntare sull’internazionalità: tutte le proposte di mostre sono radicate nel il territorio ma con gli occhi sempre puntati verso l’esterno, così come è nella natura stesa del museo che guarda all’Asia, ma anche agli altri continenti. Vorrei poi un maggiore occhio di riguardo per i diversamente abili, che partirà dall’applicazione dei cartelli ad alta leggibilità e altri interventi specifici che migliorino il livello di accessibilità del museo.

 

Cosa vorrebbe che rimanesse al visitatore che viene al MAO per la prima volta?

Vorrei che chi visitasse il MAO percepisse la vastità della cultura asiatica come una pluralità di voci ed espressioni culturali che non si riducono ai luoghi comuni e stereotipati normalmente associati ad essa: questo sarebbe già un grande passo avanti per un’apertura intellettualmente onesta verso l’altro.

La diversità costituisce ricchezza: senza voler fare discorsi populistici, solo in questa ottica il museo può mantenere il ruolo di luogo sociale aggregativo a cui è chiamato: un cambiamento di orizzonti e prospettive che portano alla comprensione del “diverso”, senza la pretesa di voler comprenderlo fino in fondo, ma con la curiosità e l’apertura a conoscerlo meglio e a scoprire in esso molte insospettate affinità, o a meglio intenderne le differenze.

Per info 

MAO Museo d’Arte Orientale di Torino

MAO Palazzo Mazzonis e giardini
MAO_Galleria Cinese ph. Roberto Cortese
MAO Galleria-Giapponese ph. credit Alessandro Bosio
MAO Galleria Paesi Islamici ph. credit Franco Borrelli
MAO Galleria Regione Himalayana ph. credit Alessandro Bosio

 

About Paola Stroppiana

Paola Stroppiana (Torino, 1974) è storica dell’arte, curatrice d’arte indipendente e organizzatrice di eventi. Si è laureata con lode in Storia dell’Arte Medioevale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino, città dove ha gestito per più di dieci anni una galleria d'arte contemporanea. Collabora con diverse testate per cui scrive di arte e cultura. Si interessa a nuovi percorsi d’indagine come il gioiello d’artista e le ultime tendenze del collezionismo contemporaneo, argomenti sui quali ha tenuto conferenze presso l’Università degli Studi Aldo Moro di Bari, Il Museo Civico di Arte Antica e la Pinacoteca Agnelli di Torino, il Politecnico di Milano.

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