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Alessandro Poli (Superstudio), Architettura Interplanetaria. Autostrada terra luna, 1970-1971. Montréal, CCA, Alessandro Poli fonds

Utopie radicali, la rivoluzione dell’architettura a Firenze

Fino al 21 gennaio la Strozzina di Firenze ospita “Utopie Radicali. Oltre l’architettura: Firenze 1966-1976” per scoprire il movimento simbolo di una rivoluzione

Un gorilla che si batte sul petto in mezzo alla giungla. Era la copertina numero 367 di Casabella del 1972 e il simbolo di un’ideologia radicale che voleva abbattere quella dominante per ripartire dalla giungla, avanzando critiche alla società dell’epoca e proponendo visioni alternative dell’arte e dell’architettura.

A. Mendini, Casabella, 1972.

Quarant’anni fa quest’immagine era stata dedicata alla mostra “Italy. The New Domestic Landscape”, curata da Emilio Ambasz al MoMA di New York, che per prima aveva riconosciuto il ruolo internazionale degli architetti radicali. Adesso, invece, viene utilizzata per sintetizzarne un’altra, “Utopie Radicali. Oltre l’architettura: Firenze 1966-1976”, allestita alla Strozzina di Firenze, dove resterà fino al 21 gennaio.

Curata da Pino Brugellis, Gianni Pettena, Alberto Salvadori e Elisabetta Trincherini, la mostra vuole celebrare il movimento radicale fiorentino degli anni Sessanta e Settanta del Novecento attraverso installazioni, video, performance, oggetti di design, fotomontaggi e collage. In totale ci sono 320 opere che esprimono le visioni degli architetti radicali che, partiti da Firenze, hanno avuto la capacità di affermarsi anche in un contesto internazionale, ispirando generazioni e opere successive.

Archizoom Fotomontaggi Urbani, Edificio Residenziale per Centro Storico, 1969. Milano,Archivio Andrea Branzi. Firenze, Archivio Gilberto Corretti

Archizoom, Remo Buti, 9999, Superstudio, UFO, Zziggurat e lo stesso Gianni Pettena sono riuniti in un unico spazio, facendo così tornare Firenze ad essere il centro di quella rivoluzione architettonica che metteva insieme utopia, arte, design e il mondo nel quale si muovevano gli artisti. Anche per questo, la mostra è organizzata per aree tematiche in modo da far dialogare tra loro idee e visioni differenti, creando confronti interessanti: in una stanza, ad esempio, da una parte si trova No-Stop City di Archizoom, ovvero una città senza architettura, e dall’altra Monumento continuo di Superstudio, cioè un’architettura debordante che fa a meno della città.

Spazio anche alla musica e alle discoteche, come lo Space Electronic di Firenze, progettato dal gruppo 9999 e diventato punto di riferimento dell’epoca anche per motivi diversi oltre al semplice andare a ballare. Ospitava eventi, allestimenti, performance teatrali – tra le quali quella del Living Theatre di New York -, e anche il primo orto urbano. Proprio su quest’ultimo tema si concentrano altre opere, come la “Città delle foglie” degli Zziggurat e molti lavori di Gianni Pettena, come “Tumbleweeds Catcher”, “Grass Architecture”, “Clay House” e “Ice House”, precursore di molte opere attuali in cui città e natura si mescolano.

Gianni Pettena, Ice House II, 1972. Fiesole (Firenze), Archivio Gianni Pettena.

“Utopie radicali”, però, non si limita al solo spazio della Strozzina, ma deborda per ricordare le azioni dei protesta del gruppo UFO, che andava per Firenze con missili e dollari gonfiabili. Stavolta, il dollaro è inserito all’interno del cortile di Palazzo Strozzi, dove si scontra con l’architettura rinascimentale, mentre il missile di 12 metri – l’Urboeffimero n. 5 – è sospeso al centro della navata del Mercato Centrale.

UFO, Urboeffimero 3 – Piazza della Signoria, 1968. Firenze, Archivio UFO di Lapo Binazzi

Il rimando alle proteste di UFO, che portavano la serie Urboeffimeri in Piazza della Signoria e al Duomo, fa riflettere anche su un altro punto, ovvero sulla maggior connessione tra installazioni e ambiente urbano, che a Firenze ha suscitato critiche e dibattiti anche recentemente. In questo caso, le opere per la città sono soltanto due e inserite in contesti in qualche modo “protetti”, a differenza, ad esempio, di quelle di Urs Fischer. Chissà cosa sarebbe successo se fossero stati scelti luoghi simili anche per gli architetti: forse ci sarebbe potuta essere una maggiore riscoperta – e nostalgia – di quel periodo oppure, anche in questo caso, si sarebbero rialzate le voci di chi non vuole veder contaminata l’arte rinascimentale.

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