Ultime settimane a Palazzo delle Esposizioni per visitare la mostra “Mangasia: Wonderlands of Asian Comics” con la più ampia selezione di opere originali del fumetto asiatico, esposte accanto alle loro controparti commerciali, stampate per il mercato di massa.
Buona parte di esse non è mai stata mostrata fuori dal proprio paese d’origine. La mostra si concentra inoltre sul processo creativo che porta alla realizzazione delle storie, partendo dalle sceneggiature e passando per schizzi e layout, fino alle pagine complete.
Ci sono gli shoju (fumetti per ragazze), gli shonen (per ragazzi), naturalmente gli erotici hentai, ma soprattutto centinaia di tavole originali con le loro sbavature, i chiaroscuri, le campiture piene a china nera e i retini, che più di tutti caratterizzano l’aspetto grafico di un manga. Proprio loro, i vecchi retini: obsoleti nell’odierno graphic design, sono invece strumento irrinunciabile del ad.
La narrazione di una storia per immagini, in Giappone e in tutta l’Asia è molto antica: il termine manga – che letteralmente significa “immagini derisorie” – compare per la prima volta nel 1798, nelle scritture del pittore di ukiyo-e Santo Kyoden.
Dal passato si arriva al presente, in una carrellata che va dai mostri sacri come Osamu Tezuka (noto anche come “il dio dei manga”, padre di “Astro Boy”, “La principessa Zaffiro”, “Kimba il leone bianco”), Go Nagai (l’uomo dei robot anni ’70 e ’80 come Jeeg), Akira Toryama (“Dragon Ball”), Rumiko Takahashi (Lamù, Ranma ½) fino alle Clamp, primo collettivo femminile di fumettiste giapponesi, Eiichiro “One Piece” Oda.
Ma la mostra è molto di più. Nelle sue diverse sezioni è un viaggio nell’antropologia di un fenomeno culturale che, abbracciando tutte le età con un’offerta incredibilmente variegata, ha avuto la capacità di affrontare temi sociali e questioni di genere, vincendo (a volte) la battaglia contro la censura. “Noo Hin, noto personaggio manga tailandese, nelle sue storie denuncia lo sfruttamento dei lavoratori nelle fabbriche tessili”, spiega il curatore Paul Gravett. “Il fumetto, che noi occidentali declassiamo a prodotto per bambini, in oriente è il più forte dei media. È il potere della carta”.
Curata da Paul Gravett e un team di oltre venti esperti, “Mangasia: Wonderlands of Asian Comics” esplora l’intero reame di questo nuovo continente del fumetto asiatico, attraverso opere provenienti da Giappone, Corea del Nord, Corea del Sud, India, Cina, Taiwan, Hong Kong, Indonesia, Malesia, Filippine e Singapore, nonché dalle scene emergenti come quelle di Buthan, Cambogia, Timor Est, Mongolia e Vietnam. Percorsi tematici mettono a confronto la varietà di folklore, storia e sperimentazione di tutta la regione. La mostra da spazio ai precursori dei fumetti riconducibili alla tradizione asiatica delle arti visive “narrative” e al loro impatto che supera i confini della carta stampata per vivere sotto forma di prodotti animati e live-action per cinema e televisione, musica, video game, moda e arte contemporanea.
Paul Gravett è uno scrittore, specialista, editore e curatore TV che lavora nell’industria del fumetto dal 1981. È autore di molti libri sul tema. Ha anche coordinato numerose mostre sull’arte del fumetto, è co-direttore di COMICA, the London International Comics Festival.