Tino Sehgal torna in Italia con un grande progetto personale, a cura di Luca Cerizza
Sino al 17 marzo, per cinque settimane, più di 50 performer si alterneranno 8 ore a giorno, dal giovedì alla domenica, negli ampi spazi delle officine nord delle OGR Officine Grandi Riparazioni, dando vita, letteralmente, al nuovo grande progetto di Tino Sehgal (Londra, 1976). L’artista anglo-tedesco, che vive a Berlino, torna in Italia con un grande progetto personale, a cura di Luca Cerizza, dopo la partecipazione alla Biennale di Venezia del 2005 dove ha rappresentato la Germania e la mostra per la Fondazione Trussardi a Villa Reale a Monza nel 2008.
Per le OGR Sehgal ha ideato una nuova coreografia pensata come un unico grande movimento, che vede la partecipazione di più cinquanta interpreti, molti dei quali locali, selezionati con una chiamata pubblica. La sua formazione, che unisce studi di danza ad Essen e scienze economiche a Berlino, si riflette profondamente nella sua ricerca: coerentemente con il suo approccio al fare artistico che prende le distanze dalla produzione di beni di consumo con una pratica che non produce “oggetti”, ma esperienze o al massimo ricordi, l’artista non desidera documentazione visiva, registrazioni, o i consueti apparati che accompagnano le mostre o le installazioni: ha dato avvio al progetto senza conferenza stampa (ma il manifesto della mostra è una intelligente ed evocativa mappatura visiva di lettere distribuite in uno spazio, che il lettore deve ricomporre) aprendo direttamente al pubblico, che si trova da subito inserito all’interno del progetto stesso come parte viva.
Il visitatore percepisce infatti di essere circondato da altri visitatori che potrebbero essere potenziali performer (dubbio dato dal fatto che si presentano in abiti assolutamente quotidiani e non recano alcun elemento di connotazione teatrale come trucco o scarpette da ballo), e li distingue solo quando questi ultimi iniziano effettivamente un’azione, una serie di specifici “movimenti”. Movimenti che sono coreografie di danza composte da due sino a trenta interpreti (dance exhibition come le definisce la critica inglese Claire Bishop), corse apparentemente disordinate, camminate, performance musicali a cappella tra il corale e il beatbox o suoni gutturali e gemiti: tutto si svolge in un sistema fluido, le azioni sono attivate da pochi capofila che, come nel racconto orale, danno il “la” a brani strutturati, che si possono comporre ed adattare ogni volta in modi sempre diversi. I performer si rivolgono anche alle persone presenti scegliendole a caso, raccontando brevi storie o ponendo domande. L’imbarazzo dei presenti è palpabile (e sarà curioso vedere come risponderà il pubblico torinese): anche chi scrive ha avuto dubbi se rispondere o meno, prendendo coraggio soltanto alla seconda occasione e instaurando un effettivo dialogo. A questo punto il visitatore diventa parte attiva dell’opera: come ha osservato il critico Boris Groys nel suo saggio Poltics of Installations (2010) un’opera installativa come questa ha la capacità di formare delle comunità temporanee all’interno dei musei in cui vengono collocate. C’è da dire che il nuovo progetto di Sehgal non avviene in uno spazio museale propriamente detto, ma in un spazio “altro” come quello delle OGR, caratterizzato dalla verticalità molto accentuata, simile ad una grande navata di chiesa romanica, atmosfera sottolineata dalle luci soffuse e drammatiche (che richiamano quelle di un palcoscenico più che quelle vivide e asettiche di un museo): questo permette di sollevare nuovi quesiti e evidenziare aspetti particolari, come l’indubbio richiamo mistico soprattutto nelle azioni in cui sono previsti momenti corali o confronti tra due individui che si relazionano fisicamente o con la parola. Come sottolinea il curatore Luca Cerizza, l’utopia di Sehgal è che i musei siano occupati da corpi e non da manufatti, e definisce il suo lavoro un algoritmo che richiama i meccanismi del paradigma orale come risposta all’era digitale, riportandoci ad una società di tipo premoderno.
Nota ancora Cerizza, a questo proposito, come proprio all’OGR, negli spazi un tempo dedicati alla produzione “pesante”, espressione della prima rivoluzione industriale, il lavoro di Sehgal suggerisca nuove forme di produzione “leggera” basate sulla sola trasformazione dei comportamenti e non dei materiali. Nell’andamento fluido realizzato dagli attori è possibile notare alcune delle caratteristiche delle singole situazioni ideate dall’artista negli ultimi anni come Yet untitled, con cui ha vinto Leone d’oro nel 2013 alla Biennale di Venezia, o quella che propone degli specifici rimandi ai video di Bruce Nauman e Dan Graham, Instead of allowing some thing to raise up to your face dancing bruce and dan and other things, sino alla lentissima azione di Kiss (due attori richiamano i diversi baci celebri della storia dell’arte) e a These Associations (2012). Quest’ultima è una coreografia di grande complessità in cui gli interpreti ingaggiano un confronto addirittura intimo con il pubblico della mostra. Se i primi lavori citati posseggono un carattere più scultoreo, sebbene trasformato dal corpo e dal movimento dell’interprete, These Associations è un esempio importante dell’estetica dialogica e sonora di Sehgal; un personaggio “manga” ad un certo punto esce dalla finzione e prende corpo in “Ann Lee”, ringraziando i viventi per averlo incluso tra loro. Il diaframma tra vero e finto, spettatori e visitatori è costantemente posto sui termini dell’ambiguità e del situazionismo, per cui l’effetto non può mai ripetersi. L’accesso di un euro invoglia a tornare più volte proprio per verificare il continuo mutamento dell’”opera”, e si potrà uscire e entrare quante volte si desidera nell’arco della giornata, con la consapevolezza e il brivido di imbattersi in situazioni sempre nuove e vivere esperienze diverse.
Per info: OGR
Via Castefidardo 22, Torino