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Alma Tadema e i pittori dell’800 inglese

Alma-Tadema e i pittori dell’800 inglese. Collezione Pérez Simón

Roma, Chiostro del Bramante (16/02/2014 – 5/06/2014)

La bellezza di un’arte che guarda se stessa, la donna che la incarna sotto le sembianze di una musa, un’allegoria, una figura mitologica, una madre.
La suggestiva cornice del Chiostro del Bramante a Roma ospita, fino al 5 giugno 2014, la mostra dedicata al pittore anglo-olandese Sir Lawrence Alma-Tadema e alla pittura dell’Ottocento inglese, attraverso la selezione di 50 opere, parte di una delle collezioni private più importanti dell’America latina, quella del mecenate messicano Juan Antonio Perez Simon.
L’evento è a cura di Véronique Gerard-Powell.
Gli artisti dell’Aesthetic Movement presentano linguaggi diversi tra loro: dallo stile languido e sensuale di Leighton al linguaggio dichiaratamente neoclassico e decorativo di Moore, fino a quello erudito, fotografico, spettacolare di Alma-Tadema, o di Godward, a lui molto vicino. Seppur distinti nei loro personalismi, questi artisti sono accomunati dalla ricerca dell’incanto, fatto di petali di rose, di fiori recisi nei vasi, di stoffe dai colori vivi e preziosi ricami, in ambienti di elegante sfarzo, freddi marmi e lucidi specchi.
Alle pitture di derivazione neoclassica, si affiancano quelle dei preraffaelliti, come Rossetti, Burne-Jones, Waterhouse e Hughes che, contrari ad ogni forma di accademismo, prediligono la spiritualità della cultura medievale, la letteratura di Dante e Shakespeare, i temi biblici, la casta sensualità della donna angelo, la nostalgia romantica, il simbolo.
Il soggetto è quindi il mito, la letteratura, l’eternità della storia classica e medievale, ma anche dettagli e scene di intimità quotidiana, dove il tempo trascorre nel languore di un vano corteggiamento o nella pigrizia di una conversazione a due.
Protagonista è la donna: eroine mitologiche, figure allegoriche, fanciulle borghesi e leziose, madri, anime di bellissimi angeli che rassicurano o di bellissimi demoni che insidiano comportamenti virtuosi.
Isolate nei ritratti, o avvolte in atmosfere rarefatte, le figure femminili il più delle volte non rivolgono lo sguardo allo spettatore. Malinconiche, assorte, o con un rarissimo accenno di sorriso, si lasciano ammirare, immobili. Se la tecnica mira alla realizzazione fotografica, attraverso la ridondanza del dettaglio o la forma finemente delineata, la sensazione che abbiamo è spesso quella di essere davanti a mitiche apparizioni che abitano solo e soltanto la nostra memoria. Quasi nostalgico e intimo ricordo più che presenza concreta.
Nude nella loro purezza, come Crenaia, la ninfa del fiume Dargle di Leighton, o avvolte in ricercate vesti come Esther di Long. Purezza, ritrosia, ma anche bellezza invitante che ammalia, come La suonatrice di Saz del 1903 di Clarke Wontner che ci guarda negli occhi mentre accarezza senza minimo sforzo lo strumento musicale, languida, avvolta da collane e pietre preziose e da trasparenze che ne mostrano i seni. Nostalgica, chiusa in se stessa la fanciulla di Una nube passa di Arthur Hughes, semplicemente bella Valeria, ancora di Wontner, incorniciata dalle venature di un marmo candido, un fondo astratto che obbliga lo spettatore all’ammirazione senza aver la possibilità di sapere altro.
Donna come madre. Paradiso terrestre di Alma-Tadema mostra una elegante signora riversa in amorevole abbandono sui riccioli biondi di un bambino vivace. E qui la ricercatezza dei dettagli si fa accompagnamento di un sentimento materno che è quasi religioso. La bellezza è lì, nell’intimità di quell’abbraccio e non altrove.
Il percorso dello spettatore termina, con magistrale stupore, dapprima davanti al piccolo bozzetto de Le rose di Eliogabalo e successivamente davanti all’opera compiuta. Dipinto da Alma-Tadema nel 1888 l’opera costituisce il pezzo più suggestivo della mostra.
Di grandi dimensioni, il dipinto racconta la morte degli ospiti dell’imperatore romano Eliogabalo, soffocati da una pioggia di petali di rose.
Lo stile virtuosistico e sensuale dell’opera allontana ogni forma di dramma. Stoffe, drappeggi, marmi, fiori, uomini e cose, confusi e distinti in una realizzazione festosa e quasi fotografica. Gli ospiti, immersi in una profusione di petali, guardano ammiccanti lo spettatore. L’imperatore e sua madre assistono inerti alla scena, in pose, in pose languide che non tradiscono alcun interesse all’azione: personaggi vittoriani nelle vesti di antichi romani, semplicemente in posa.
Nostalgie classiche, esercizi di stile, raffinatezze estetiche fatte di tinte delicate e tenui sfumature, proprie del linguaggio caratteristico dell’arte vittoriana della seconda metà dell’Ottocento, distante nei contenuti e nello stile dalla rivoluzione artistica che impressionisti e post-impressionisti stavano apportando in Europa e che, come testimonia la collezione Perez Simon, costituisce da alcuni decenni oggetto di rinnovato e vivo interesse.
Annarita Santilli

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