Incontriamo Sophia Vari a Pietrasanta, dove da anni si rifugia d’estate con il marito, il grande maestro colombiano Fernando Botero: un luogo amatissimo (e loro stessi sono amati dai cittadini e dai turisti che animano la piccola Atene della Versilia), funzionale alla loro creatività.
Qui infatti entrambi hanno uno studio per le sculture di grandi dimensioni e un filo diretto con le cave di marmo di Carrara. Ma Piestrasanta è solo uno dei luoghi dove sviluppare la propria arte: Sophia Vari, nata nel 1940 nella località di Vari, in Attica (da cui ha assunto il nome d’arte), anima cosmopolita, si divide tra la Colombia, terra di origine di Botero, Atene e Montecarlo. Nota soprattutto per il carattere fortemente installativo delle sue monumentali sculture in marmo e in bronzo, monocrome e policrome, Sophia Vari è una signora dai lineamenti classici ed esotici ad un tempo, che sembrano richiamare l’antichità e l’oriente nei grandi occhi allungati. Empatica e solare, è artista instancabile e richiestissima: in settembre inaugurerà una mostra personale presso la Stavros Niarchos Foundation Cultural Center di Atene, disegnata da Renzo Piano, a cui seguirà una mostra di pittura e acquerelli presso la galleria Nohra Haime di New York; ottimo riferimento bibliografico per approfondire il suo lavoro è la monografia “Sophia Vari. Forms and Colors”, a cura di Carter Ratcliff, uscita per i Glitterati di New York nel 2017, con la direzione editoriale di Paola Gribaudo. Nel corso del suo lungo percorso artistico, iniziato da giovanissima, si è dedicata a diverse modalità espressive, pittura, collage, scultura finanche il gioiello d’artista.
I suoi ornamenti, a cui Sophia dà i nomi della mitologia classica, ricordano nella volumetria delle linee le sue opere scultoree, ma allo stesso tempo mantengono una grande autonomia compositiva, come tutta la sua arte. Forse la caratteristica più significativa di Sophia Vari è proprio questa: l’aver vissuto molte vite in una sola e aver saputo tradurre con sensibilità le molte influenze e suggestioni che ha incontrato nel suo percorso umano e artistico: se nella sua pittura si individua un grande rigorismo formale e cromatico, nelle sue opere scultoree, forme complesse che spesso rimandano alla figura umana, sono riconoscibili elementi cubisti, la scultura dei Maya, degli Egizi, dell’arte cicladica e persino il gusto per un barocco contemporaneo.
I suoi gioielli-scultura presentano un disinvolto uso dei materiali, funzionali ad una grande espressività di forme e preciso senso volumetrico: oro, argento, ebano, legno, corallo si avvolgono su loro stessi in imprevedibili nodi sinuosi, si svolgono con eleganza, si sovrappongono con una serie di moduli dagli effetti moltiplicativi.
Le sue mostre di scultura sono state spesso risolte con straordinarie installazioni a cielo aperto, in dialogo con l’architettura di piazze, musei e fondazioni internazionali, da Roma a Montecarlo, da Atene a Madrid, dagli Champs-Élysées di Parigi a Piazza della Signoria a Firenze; nel 2003 proprio Piestrasanta ha celebrato Sophia con una mostra in Piazza del Duomo in cui svettavano le sue sculture monumentali, su cui l’artista interviene con il colore a esaltare forme e volumi. Lo stesso procedimento che ritroviamo nei suoi argomentati gioielli, la cui dimensione tridimensionale è sottolineata da un uso intelligente di materiali e cromie a contrasto.
Signora Vari, si è da sempre misurata con diversi materiali e tecniche. Ci parla del suo diverso approccio nei confronti della scultura di grandi dimensioni e del gioiello d’artista?
Non ho mai vissuto la differenza tra scultura e gioiello. L’aspetto più importante è lo sviluppo dello stile, sviluppo che avviene nel tempo e che si declina in tutte le modalità artistiche che ho affrontato: acquerello, pittura, scultura o gioiello. Il mio approccio mentale, il mio senso dello stile è lo stesso. L’unico elemento che cambia è il momento esecutivo: un gioiello presente difficoltà particolari a causa della piccola dimensione, oltretutto lavoro con l’antica tecnica della fusione a cera persa, realizzo tutti pezzi unici… ha poi la necessità di essere funzionale, di adattarsi e armonizzarsi con il corpo umano, abbellendolo: non è un caso che il gioiello nasca all’inizio del tempi come ornamento per esaltare la figura, celebrare la persona che lo indossa. Il procedimento tuttavia non è poi così dissimile da quello della scultura: si passa dal modello in plastilina al gesso all’opera finale. Lavorando a mano la plastilina incomincio ogni lavoro conoscendo solo il 10% di quale sarà il risultato finale, poiché spesso è l’opera stessa che durante l’esecuzione indica cambiamenti, nuove soluzioni, nuove armonie. Questo per esempio è molto vero per la scultura che io decoro con pitture policrome per esaltare il ritmo delle forme. Anche con i gioielli tendo a evidenziare i differenti materiali, il nero dell’ebano o l’oro del metallo per sottolinearne il movimento.
Quando un’opera è finita?
Questa è una domanda interessante, perché quello di sapersi “fermare”è senz’altro l’aspetto più importante per un artista. Nella mia esperienza ho imparato che un’opera è finita quando nessuno può più togliere né aggiungere nulla. A volte tuttavia solo il Tempo, l’attesa, un periodo di sospensione si rivelano necessari per poter osservare un’opera dalla giusta distanza e capire se è terminata.
Quale il suo processo creativo?
Il mio processo creativo è uno e uno solo, ma lo declino sulla scultura, sulla pittura o sui gioielli; dipende anche dal luogo in cui mi trovo, dallo studio o dagli strumenti che ho a disposizione in quel momento: a Pietrasanta realizzo grandi sculture perché ho un grande studio e la materia per realizzarle; i gioielli a Montecarlo, dove si trovano gli studi degli artigiani orafi con cui collaboro; ad Atene ho un altro studio in cui realizzo grandi college e dipinti. In questo modo ho anche il tempo di decantare lo sguardo sulle opere, tornando su di esse dopo un tempo di riflessione. A volte, a causa dello sforzo, l’artista è innamorato dell’opera, è legato ad essa, a maggior ragione se il percorso è stato complesso. E’ necessario invece rivedere la propria opera dopo un po’ di tempo con il giusto distacco.
Come si è accostata al gioiello d’artista?
Mi trovavo in un lungo viaggio in aereo e, dal momento che non riesco mai a smettere di lavorare, avevo necessità di progettare nuove sculture. Poiché non realizzo disegni preparatori ma maquette in plastilina mi sono trovata a realizzare una piccola scultura che ho avvolto intorno ad un dito: ho visto che poteva funzionare. In passato non sono stata particolarmente appassionata di gioielli a me contemporanei, piuttosto sono sempre stata attratta dai gioielli dell’antichità greca o dai gioielli precolombiani, che oggi sarebbero ancora di grande attualità estetica. Da quel primo gioiello realizzato in aereo ho iniziato una piccola produzione per me stessa, e poi gradualmente le mie creazioni hanno ottenuto un grande successo di critica.
Quale è l’obbiettivo della sua ricerca?
Cerco nei miei lavori l’armonia, il concetto greco de “il Bello per il Bello”: oggi questa aspirazione al “Bello fatto Bene” è quasi vista con sospetto, è interpretata come un esercizio di stile, un decorativismo che ha fatto il suo tempo e che talvolta nasconde una mancanza di immaginazione. Questo secondo me è il male dei nostri tempi, non apprezzare più il Bello, la conoscenza della tecnica, la capacità esecutiva, il senso dell’armonia come espressione massima dell’opera d’arte. Il gioiello deve armonizzarsi con il corpo, così come deve fare la scultura con lo spazio che andrà ad abitare. Ogni opera deve integrarsi in un’armonia più grande. A settembre farò una mostra alla Fondazione Stavros Niarchos nei pressi di Atene, uno spazio molto importante da un punto di vista architettonico, con una grande personalità. Installerò 16 sculture che vorrei che si incorporassero totalmente con l’ambiente. Il più bel complimento è dirmi che le mie sculture sembrano essere state lì da sempre, che siano nate con il luogo stesso.
Cosa vuol dire vivere quarant’anni con un grande artista come Fernando Botero? C’è scambio fra voi, confronto, scontro?
Prima di essere artista, credo molto nel carattere della persona. L’amore è solo una componente, c’è l’intelligenza, il rispetto, l’ammirazione. Fernando è un grande maestro e mi ha sempre rispettata come persona e come artista. Abbiamo sempre una viva conversazione sull’arte, visitiamo insieme i musei, discutiamo di tutto, ma fondamentalmente abbiamo rispetto uno per l’altra. Tra di noi c’è un’eguaglianza reciproca, ci critichiamo, si supportiamo. Una grande ricchezza che condividiamo da quarant’ anni. Ma la regola più importante è che per creare armonia devi averla prima di tutto dentro di te, è un lavoro su se stessi, quotidiano, continuo.