Le performance fotografiche di Liu Bolin sono arrivate alla fiera milanese della fotografia d’arte Mia Photo Fair grazie a Boxart Gallery di Verona. Un’ennesima conferma per il già celebre artista, che è prima di tutto un performer e nasce come scultore. La sensibilità plastica acquisita nel suo percorso artistico si intuisce in queste “immagini viventi”, non semplici fotografie, dove però ogni effetto o tecnica di post produzione è bandita. Si tratta di un’osmosi tra le arti a cui la fotografia ci sta abituando.
Salvo poche eccezioni protagonista degli scatti fotografici è lo stesso artista, che sceglie il contesto che fa da sfondo molto accuratamente, perché è il messaggio insieme al rapporto che il soggetto instaura con esso. La figura umana scompare fondendosi alle architetture ed agli oggetti grazie alla tecnica del body painting e l’uso prospettico dell’inquadratura fotografica. “Hide and Seek”, “Disappearing”, “Camaleon”, “Camouflages”, “The Invisible Man” sono alcuni dei titoli delle mostre tenute da Liu Bolin in giro per il mondo insieme alla serie “Hiding in the City”
L’oggetto della ricerca di Liu Bolin è l’identità e… la perdita di identità. Il luogo in cui viviamo, il paese di origine e quello che ci ospita, le città che attraversiamo per lavoro o per turismo, tutti sono caratterizzati da una forte identità frutto della cultura, delle tradizioni e/o superstizioni, della società e della politica. In ogni momento della nostra vita l’ambiente che ci circonda, per brevi o lunghi periodi che sia, influenza il nostro pensiero in modo più o meno evidente. Così si forma l’identità di un individuo e di una nazione intera. Ma quali sono le linee di forza in questo rapporto? Quando è l’uomo a dare un’impronta all’ambiente in cui vive? Quando invece è l’ambiente a influenzare il su modo di essere? Quando l’identità è imposta dal potere politico o dalla pubblicità?
Nei suoi lavori Liu Bolin fa dialogare la memoria storica di un monumento, il significato sociale di un luogo, il messaggio politico di un simbolo con l’esperienza personale, la sua, in cui è facile immedesimarsi. Il messaggio delle sue fotografie è così chiaro, inequivocabile, non ricerca simbologie o metafore da interpretare. Forse l’approccio soft e a volte ironico è il motivo per cui l’artista non ha avuto problemi con la censura del governo.
Spesso sono messaggi di denuncia quelli lanciati dall’artista, ma mai aggressivi. La sua filosofia è quella di chi crede fermamente che “andare contro” e “gridare” non sia la risposta giusta per cambiare le cose. Le sue fotografie, quindi, propongono a noi spettatori la via dell’integrazione e non dell’opposizione con il mondo che ci circonda.
Denuncia così, togliendo loro la maschera, il potere e tutte quelle forme di controllo o quei meccanismi sottili, come la pubblicità ingannevole o la politica, che non permettono all’individuo di decidere consapevolmente.
«Il camaleonte ha la straordinaria prerogativa di cambiare colore per uniformarsi al colore dello sfondo come forma di auto-protezione. […] Gli esseri umani non sono animali perché non sanno proteggere se stessi». Liu Bolin.
Il progetto Hiding in the City nasce nel 2005 da un momento di smarrimento personale dell’artista, aveva abbandonato la sua carriera di insegnante di scultura all’Accademia di Fine Arts di Pechino iniziando la carriera di artista. Si era trasferito in uno studio nel villaggio di artisti Suojia, a nord-est di Pechino, un tempo sede di un centinaio di studi di artisti. Le autorità, infatti, per paura che fosse diventato un luogo in cui si riunivano i dissidenti, decise con un pretesto di distruggerlo. La prima foto della serie rappresenta proprio le macerie del Suojia Arts Camp. Il suo lavoro è iniziato, quindi, indagando la perdita di identità. Tecnicamente il primo progetto di Liu Bolin è ancora rudimentale. E’ lui stesso a dipingere i propri abiti e a scattarsi la foto. Da questo primo scatto ne sono seguiti molti altri, che rappresentavano la demolizione dei quartieri storici cinesi voluta dal governo, fino a che non è nata la serie che ha girato tutto il mondo e gli ha dato notorietà.
Il progetto dall’ottobre 2008 si sposta in Italia, il paese in cui Liu Bolin si è trovato di fronte a qualcosa di veramente lontano da quanto a lui familiare. Nel suo paese la volontà del Governo era quella di distruggere il passato, per fare spazio al progresso. Un processo di urbanizzazione che lui disapprova, non altrettanto tutti i suoi compatrioti. In Italia, invece, i monumenti sono parte del patrimonio artistico e culturale da preservare della Nazione e la storia fa parte dell’identità degli italiani. Liu Bolin è stato invitato da Boxart Gallery di Verona come resident artist. Inizia la serie Hiding in Italy: Venezia, Roma, Milano, Pompei e Verona. La Galleria Borghese e la Pietà Rondanini di Milano entrano così tra i soggetti delle sue fotografie.
Il progetto diventa sempre più grande e nel giugno del 2011, Liu Bolin inizia Hiding in New York. Tornato in Italia 2014, Liu Bolin si concentra su un altro aspetto che rende grande il nostro Paese agli occhi degli stranieri il made in Italy con un nuovo progetto Fade in Italy. Nel 2015 Liu Bolin torna alla denuncia e questa volta si interessa ai migranti che arrivano in Italia dall’Africa e, grazie al sostegno della galleria Boxart e la partecipazione della Comunità di Sant’Egidio, lavora a Catania al progetto Migrants.
Liu Bolin continua il suo lavoro sull’identità allargando lo sguardo ai prodotti commerciali di cui l’uomo contemporaneo si circonda. Ne nasce una serie dedicata agli scaffali dei supermercati. A Mia Photo Fair 2019 è stato esposto uno scatto fatto in un supermarket a Pyongyang capitale della Corea del Nord, in un luogo inaccessibile per cui pericoloso. Non sono solo i processi del consumismo ad interessarlo. Decide ad esempio di scattare una foto davanti ad uno scaffale di soft drink, perché è un prodotto apparentemente innocuo. Venduto in packaging molto colorati ed accattivanti, in realtà spesso i soft drinks sono tossici e soprattutto in Cina contengono sostanze nocive per la salute.
Liu Bolin nasce nel 1973 nella provincia dello Shandong, dove si è diplomato al Dipartimento d’Arte dell’Istituto d’Arte e ha frequentato il Master al Dipartimento di Scultura dell’Accademia d’Arti Applicate.
ll lavoro di Liu Bolin ha ricevuto riconoscimenti internazionali. Ha tenuto mostre personali a:
Pechino, Shanghai, Hanzou e Pingyao in Cina, Corea, Stoccolma, Parigi, Londra, Ludwigsburg in Germania, Tolosa, Mosca, Vienna, Bruxelles, Barcellona, Istanbul, Milano, Roma, Verona, Viterbo, Palermo, Vevey e Bienne Svizzera, Odessa, Marsiglia, New York, West Hartford Connecticut, Miami, Jacksonville, Los Angeles, Oberlin in Ohio, Liverpool, Buenos Aires, Argentina, Monterrey e Mexico City, Bogotà in Colombia, Caracas e Venezuela, Sydney, Gerusalemme.
Oggi vive e lavora a Pechino.