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Giacometti, La Scultura, Roma Galleria Borghese, dal 5 febbraio al 25 maggio 2014

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Giacometti, La scultura, Roma, Galleria Borghese,  dal 5 febbraio al 25 maggio 2014, testo critico di Annarita Santilli

Mai per la forma, né per la plastica, né per l’estetica, ma il contrario. Contro, assolutamente.

 

Gioco sì,

erotico sì,

inquieto sì,

distruttore sì

 

Queste le parole di Alberto Giacometti, scultore e pittore svizzero del Novecento, capace di rappresentare la forma come sintesi o sofferto disfacimento, con un linguaggio nutrito da influenze artistiche antiche e contemporanee e tuttavia assolutamente personale.

L’artista ha soggiornato nella capitale nel 1921 ed era solito visitare gli spazi della Galleria Borghese per ammirarne la storia e i capolavori. Ed è qui che virtualmente Giacometti ritorna, con un’esposizione che ospita fino al 25 maggio 2014, circa 40 lavori, principalmente sculture in bronzo, provenienti in gran parte da Zurigo, Venezia, Saint-Paul-de-Vence.

La mostra è a cura della Direttrice della Galleria Anna Coliva e dello studioso Christian Klemm, promossa dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, organizzata e prodotta da Arthemisia Group.

Il salone d’ingresso, sormontato dal grandioso affresco settecentesco e circondato lungo le pareti da teste colossali, satiri e imperatori romani, accoglie le monumentali figure bronzee di Giacometti, concepite per la Chase Manhattan Plaza di New York nel 1960.

Lo spettatore quindi, fin da subito, viene messo di fronte allo stile maturo di Giacometti, stile che caratterizza le sue opere come immediatamente riconoscibili, sue e di nessun altro. Grande donna I e Grande donna II sono immobili al centro della scena, ai lati dell’accesso alla Sala degli Imperatori, dal quale in lontananza e ben visibile, è Il ratto di Proserpina di Gian Lorenzo Bernini. L’Uomo che cammina interrompe per un attimo la frontalità e staticità dell’insieme, invitando lo spettatore a proseguire la visita.

Se negli anni Quaranta le sculture sono di piccole dimensioni, dagli anni Cinquanta esse assumono forme monumentali. La materia diventa scarnificata, consunta, fino alla resa filiforme che resiste allo stremo per non dissolvere i propri grovigli nello spazio.

Giacometti rappresenta  l’uomo in cammino e la donna immobile, scultura dopo scultura, perennemente. E lo fa ricercandone la vera essenza e non la semplice fisionomia, scrutandone il volto e il corpo in maniera continua, con ansia, fino a rivelarne l’anima. Le donne e gli uomini di Giacometti non hanno identità, ma si confondono in sembianze che si ripetono anonime e instancabili.

E’ il linguaggio dell’Informale europeo, portavoce di quella crisi di valori dovuta alle macerie del secondo conflitto mondiale e che, in maniera distinta nei singoli artisti, porta all’abbandono della forma, ponendo l’accento su ciò che non è possibile percepire con gli occhi, l’invisibile.

Ancora appartenenti allo stile maturo, le Donne di Venezia del 1956, riunite nella Sala di Apollo e Dafne, e i busti degli anni Sessanta, esposti nella Loggia di Lanfranco, tra i quali ricordiamo Busto d’Annette e Lotar III. Questi ultimi, in dialogo ancora una volta con le opere del Bernini, sembrano avere tuttavia una loro identità: volti severi, l’uno distinto dall’altro, occhi spalancati sul vuoto, corpi solamente accennati e confusi in una materia in divenire e  in costante tensione.

I primi lavori dell’artista presentano invece un linguaggio diverso. A partire dagli anni Venti, essi risentono del viaggio in Italia, testimoniato da un piccolo acquerello su carta del 1921 presente in mostra, e del soggiorno in Francia. Giacometti rimane colpito dalle meraviglie dell’arte antica, da Cimabue, Giotto e Tintoretto, mentre a Parigi, grazie a Brancusi e Lipchitz, si appassiona all’arte delle origini, quella cicladica e africana.

Dalla fine degli anni Venti ai primi anni Trenta, è evidente l’influenza surrealista. Una sintesi levigata e simbolica lo porta ad abbandonare lo studio del modello dal vivo, per poi riprenderlo dal 1935 in poi.

Testimonianza di questo periodo sono le opere esposte nella Sala del Canova e nella Sala dell’Ermafrodito. Donna sdraiata e Donna sdraiata che sogna, entrambe del 1929, con forme concave e sinuose, si relazionano con la candida Paolina Bonaparte. Donna sgozzata del 1932, in cui il femminile viene riassunto e smembrato violentemente in pochi elementi anatomici dal profilo tagliente, e Donna cucchiaio del 1927 che, al contrario, si compatta in un’unica forma ovoidale, vengono accostate al languido corpo dell’Ermafrodito di epoca romana.

Le figure di Giacometti, siano essi imponenti e in disfacimento, riassunte in forme essenziali e simboliche, o semplificate in miniature che con la loro forza lacerano l’aria, dialogano con i capolavori della Galleria Borghese.

Fine della mostra è quello di completare un discorso nell’ambito dell’arte scultorea, iniziato secoli addietro, dall’epoca greca e romana al Rinascimento, dal Barocco al Neoclassicismo, continuando con un linguaggio novecentesco diametralmente opposto che è ancora nostro e che tutt’ora ci rappresenta.

L’ultima esposizione monografica in Italia dedicata all’artista svizzero risale al 1970, all’Accademia di Francia di Villa Medici a Roma. Dopo un’assenza di oltre quarant’anni, Giacometti torna nella Capitale. L’evento alla Galleria Borghese è un’occasione per conoscere l’opera di uno dei maggiori rappresentanti della scultura del Novecento.

Il rigore classico, universale e assoluto, e la fantasiosa magnificenza barocca si confrontano così con l’esperienza, il reale, il dramma che l’arte di Giacometti, fatta di pensiero ed esplorazione del profondo, riesce a esprimere.

Annarita Santilli

 

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Un commento

  1. Franco benedetti

    É un canale molto interessante

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