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Marco Abrate (Rebor), Tenerezza, 2018, intonaco e tecnica mista su cemento

Rebor e la memoria sociale dello spazio urbano.

Sarà visitabile fino al 30 novembre prossimo, presso gli spazi di InGenio Arte Contemporanea, luogo della Città di Torino dedicato alla cultura inclusiva,  Mr. Pink, l’artista simulacrum, il progetto espositivo di Marco Abrate (Rebor), giovane ed eclettico artista torinese, invitato a presentare una delle innumerevoli proposte della sua ricerca.

Marco Abrate, in arte Rebor, è un giovane e promettente artista di Pinerolo che studia Grafica all’Accademia Albertina di Torino. Ventidue anni e tanta voglia di farsi portavoce delle istanze della società odierna è riuscito con tenacia e coerenza a far conoscere ed apprezzare il suo lavoro. La ricerca di Rebor si pone al centro della scena urbana, utilizzando modalità differenti, non limitate ad una sola dimensione operativa. L’artista si confronta con lo spazio pubblico, individua pareti che presentano scrostature per umidità o incuria del tempo e su di esse interviene a creare icone filtrate dalla memoria. Quelle stesse immagini vengono poi ripresentate al fruitore attraverso l’uso di diverse tecniche, installative, performative o affini alla poster art.

Marco Abrate (Rebor), Tenerezza, 2018, intonaco e tecnica mista su cemento

Rebor propone inoltre performance di spirito “neo-situazionista” nello spazio urbano, impiegando materiali di recupero o creando sculture nelle quali la dimensione del presente si congiunge a quella del mito e del ricordo. Spesso l’artista interviene su opere o monumenti con un segno rosa shocking – “Pink” – simbolo di speranza, di positività, un gesto pop che rincuora, che strizza l’occhio allo spettatore in un rapporto di solidarietà e condivisione. Il rosa è un colore elegante, artificiale, che attirando lo sguardo del fruitore lo induce a porsi un quesito, ad avviare una riflessione.

«L’artista deve ritornare ad essere un intellettuale che propone spunti di lettura e analisi del contesto» – afferma – «La mia intenzione è quella di diventare una sorta di “antenna” e poter raccogliere e trasmettere informazioni della società alla società».

La conversazione avvenuta in occasione della mostra personale da InGenio Arte Contemporanea mette a fuoco i motivi della sua ricerca.

Come nasce Rebor? Perché hai pensato a questo nome?
Il nome Rebor è uno pseudonimo che porto con me dall’esperienza underground di street artist. Non posso però ancora svelare i motivi e i significati ad esso legati. Un giorno lo farò.

Qual è il processo costitutivo della tua ricerca, in particolare di quella legata alla serie dei “Muri”? Perché focalizzi l’attenzione sul muro?
L’indagine che si focalizza sulle incrostazioni dei muri è recente, inizia infatti nella pratica nel 2016.
Anche se la mia curiosità per i muri scrostati e il tentativo giocoso di provare a definire le forme, che macchie e incrostazioni potevano generare, ha da sempre stimolato la mia fantasia.
Il muro è il supporto su cui gli artisti di strada restituiscono la propria interpretazione del quotidiano. Il muro è anche metafora delle barriere che si creano tra le persone. Ho pensato di provare a interagire con gli squarci nei muri per raccontare delle storie.
Quando facevo graffiti e street art, i muri erano la prima tela.
Oggi, le incrostazioni sono la parte principale del mio lavoro: immagine intuitiva e subconscia, portata alla contemporaneità. Tiro fuori le immagini da qualsiasi cosa. Adatto l’immagine a quello che vedo sul muro ad un contesto storico, politico. È un processo che si basa sulla spontaneità, in naturale evoluzione.

Marco Abrate (Rebor), Veduta d’installazione, InGenio Arte Contemporanea

Tutto ha avuto inizio con l’opera La vita possibile, un intervento pittorico su una porzione di muro che si trova a Pinerolo, davanti a casa mia. In questo lavoro si sono uniti più piani semantici: il titolo è stato ripreso dal film di Ivano De MatteoLa vita possibile appunto – per cui avevo realizzato un murales come elemento scenografico, mentre la tecnica e il supporto riflettevano il contesto politico e culturale del momento sottolineando la tensione internazionale causata dagli interventi terroristici dell’Isis e dalle strategie anti-democratiche del Presidente Trump che intendeva alzare muri fisici e metaforici tra le popolazioni…
La vita possibile rappresenta la frammentazione della società odierna, in cui non si distingue più il falso dal vero, la fake news dall’informazione…

…Quindi una semplice pareidolia diventa spunto per raccontare una realtà più complessa?
Si, ho utilizzato la stessa immagine generata con l’intervento pittorico – per esempio, un volto umano senza sguardo, simbolo dell’agonia dell’uomo moderno – anche su manifesti pubblicitari e altri supporti per poter divulgare a livello multi-mediatico quell’immagine e quel senso di precarietà e frammentarietà, di finito e non- finito. In questo modo un significato solo intravisto viene decisamente amplificato. Una delle operazioni di divulgazione del messaggio artistico è stata quella che ho realizzato a Milano in Piazza del Duomo nel 2017 creando un’opera a cielo aperto, tecnica mista su tela, installata a terra davanti all’ingresso del Museo del ‘900.

Marco Abrate (Rebor), Pietas, 2017 @ Museo del Novecento, Milano

Poteva essere interpretato come progetto installativo legato al museo milanese? Pensieri e interpretazioni si alternano in un gioco d’impronta dadaista… Anche in quel caso ho utilizzato i frammenti: un rifacimento su tela dell’opera su muro. Si tratta di Pietas e narra il percorso dell’uomo errante e distrutto, nascosto e illuso dalla stessa contemporaneità dove tutto in realtà è “dis-contemporaneo”.

Raccontaci del work in progress Cabinet Contemporaines, l’operazione provocatoria che porta l’opera d’arte nei bagni dei musei. I “cabinets”, nel loro significato originale, sono luoghi di studio e di produzione del sapere: la traduzione italiana in “gabinetti”, nel comune eloquio, rimanda a tutt’altra funzione…
Attraverso il progetto Cabinet Contemporaines, colloco riproduzioni di immagini tratte da La vita possibile, nei bagni dei musei d’arte contemporanea. Ad oggi sono stati tre i musei coinvolti: la GAM di Torino, il MAC MUSEE DES CONFLUENCES di Lyon e Il MUDEC di Milano. La consacrazione di ogni artista è quella di riuscire ad esporre la propria opera in un grande Museo. Il mio intento è quello di provare in modo giocoso, che esiste un vizio di forma se il sistema dell’arte, riconosce lo status di opera solo nel momento in cui la produzione dell’artista è esposta nel luogo deputato all’arte ovvero il Museo. Invece vorrei sottolineare che l’arte è totale: lo è nel prodotto come nel gesto, nel suo farsi e nel suo prodursi liberamente, ha valore in sé.

Marco Abrate (Rebor), Ecce Homo, 2017

E l’installazione Ecce Homo che l’anno scorso ha prodotto tanto scalpore in Piazza Castello a Torino?
«Ecce homo» ritrae il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, intento a sorreggere il ritratto di un uomo sofferente. Si tratta di un’ulteriore riproduzione fotografica de «La vita possibile». L’effigie di Trump è paradossalmente quella del nuovo cireneo che sorregge il peso del muro cioè la rappresentazione di un’umanità dolente in cammino, un odierno Cristo. Tre mattoni colorati di rosa sono posizionati ai piedi di una struttura Mupi. I mattoni rimandano simbolicamente al muro che Donald Trump in campagna elettorale aveva promesso di costruire al confine con il Messico. L’opera diventa metafora delle barriere costruite da chi vuole escludere anziché includere, marginalizzare anziché accogliere.

Perché ti sei concentrato sulle scrostature dei muri? Indaghi la memoria socioculturale dello spazio urbano?
Intendevo creare un percorso di ricerca che fosse alternativo al progetto “Pink”, per raccontare con un’altra visione, forse più sintetica, la società contemporanea: le scrostature dei muri, prelevati o riprodotti, interpretano i concetti di stratificazione, memoria, frammento. Attraverso un segno nero sul muro creo l’immagine che io vedo e che intendo porre all’attenzione del pubblico. È un’intuizione psico-visiva che condivido con l’altro, sono frammenti di una società che ciascuno di noi conosce e riconosce.

Creo anche nuovi muri con cornice, esclusivamente su 3 lati, solo una parte è libera, infinita, aperta all’immaginazione di chi guarda. Il fruitore si chiederà sempre perché solo un lato non è stato incorniciato, un senso di mistero avvolgerà l’opera, lo stesso che le donerà l’eternità.Utilizzo anche cornici dorate, auliche in contrasto con l’opera contemporanea, perché ritengo che in questo modo il lavoro sia in equilibrio, con una luce più vivida, esteticamente bella. È la bellezza che salverà il mondo!

Quali sono le tue fonti d’ispirazione?
Artisti contemporanei come Bansky e Cattelan fanno parte del mio background culturale. Leonardo da Vinci e Michelangelo sono senza dubbio i grandi maestri dell’arte…
In ogni caso non guardo tanto all’artista quanto all’opera che egli ha realizzato. Credo che l’immagine che La Pietà di Michelangelo rappresenta sia una delle più contemporanee, sempre attuale, oggi metafora del mondo stravolto, sfinito.

A partire da esperienze di street art e graffitismo, approdi alla “performance neo-situazionista” e alla poster art: crei sculture in cui la dimensione più contemporanea si unisce a quella del mito e della memoria. Progetti per il futuro?
Pensando al percorso di studi credo che dopo aver terminato l’Accademia Albertina, mi trasferirò a Londra alla University of London per frequentare il Master in Fine Arts. Anche se in seguito vorrei tornare a Torino, dove sono seguito e il mio lavoro sta avendo un buon esito di pubblico e critica. Non mi sarei mai immaginato questo… Quando ero più giovane pensavo di andar via dall’Italia.
In ambito artistico l’indagine sui muri è in evoluzione verso una “Nuova Oggettività” del segno estetico, un salvifico ritorno al classico.

Marco Abrate (Rebor), Veduta d’installazione, InGenio Arte Contemporanea.

Quale l’obiettivo a cui vuoi tendere con questo lavoro?
Viviamo in una società di simulacri, il linguaggio della pubblicità e dello spettacolo invadono il quotidiano: ho immaginato di utilizzare gli stessi codici per attirare l’attenzione sull’arte e i suoi significati. In un mondo in cui i drammi degli attentati ci rendono insicuri nelle nostre città, il web e i social media controllano sempre di più le nostre vite e l’identità dell’individuo scivola via, è l’artista a dover assumere un ruolo di denuncia e di testimonianza, a diventare l’isola a cui approdare. La mia ambizione è questa.

 

 

InGenio Arte Contemporanea
(Direzione Servizi Sociali, Area Politiche Sociali – Servizio Disabili della Città di Torino)
C.so san Maurizio 14/E

Fino al 30 novembre 2018
Apertura su richiesta rivolgendosi a
InGenio bottega d’arti e antichi mestieri
Via Montebello, 28/B_011.883157
dal martedì al sabato dalle 10.00 alle 19.00

About Elena Inchingolo

Elena Inchingolo (Torino, 1976) è storica dell'arte, curatrice e archivista d’arte contemporanea. Laureata in Storia dell'Arte Contemporanea presso l'Università degli Studi di Torino, città dove vive e lavora, è stata coordinatrice del progetto di ricerca e sviluppo degli Archivi della Collezione del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea e ha gestito una galleria d’arte contemporanea in Torino, come responsabile della curatela e dell’allestimento di progetti espositivi e fieristici in Italia e all’estero. Si dedica all’ideazione e alla curatela di proposte espositive d’arte contemporanea per istituzioni e gallerie. Collabora con diverse testate giornalistiche scrivendo di arte, cultura e design. Si interessa di conservazione e catalogazione del patrimonio storico-artistico contemporaneo e, nell’estate 2017, è stata selezionata per partecipare al primo Workshop per Archivisti d’Arte Contemporanea attivato dal CRRI - Castello di Rivoli Research Institute.
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