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La collezione Casamonti nel cuore di Firenze

Ha aperto al pubblico lo scorso 25 marzo la Collezione Roberto Casamonti, al primo piano del rinascimentale Palazzo Bartolini Salimbeni, nel cuore di Firenze.

Palazzo Bartolini Salimbeni

Un palazzo amatissimo dai fiorentini, che si affaccia sullo splendido crocevia di Piazza Santa Trinita, a pochi passi dalla prima sede di Tornabuoni Arte, da cui è partita l’avventura nel mondo dell’arte di Roberto Casamonti nel 1981. Introdotto nel mondo del collezionismo dal padre Ezio, che già negli anni Cinquanta frequentava gli studi Ottone Rosai e Ardengo Soffici, Casamonti ha brillantemente seguito un percorso fatto di passione, impegno e acuto senso imprenditoriale, che lo portato, in quasi 40 anni di attività, ad aprire diverse sedi di Tornabuoni Arte in Europa (oltre a Firenze, Londra, Parigi, Milano, Forte dei Marmi, Cras Montana) e a trattare i più importanti nomi del Novecento italiano e internazionale, in parallelo ai nuovi nomi della scena contemporanea. Palazzo Bartolini Salimbeni, ultimato nel 1520, è uno scrigno particolare per una collezione altrettanto particolare: come raccontato nel bel volume che accompagna la collezione, a cura dello stesso Casamonti e di Bruno Corà, il suo architetto fu aspramente contestato perché si discostava dalla tradizione architettonica locale: l’architetto Baccio d’Agnolo arrivò a difendere la propria opera con l’iscrizione sopra il portale d’ingresso “CARPERE PROMPTIUS QUAM IMITARI (Criticare è più facile che imitare).

Palazzo Bartolini Salimbeni

Un atteggiamento certamente frequente nel mondo dell’arte di oggi come di allora, che fortunatamente non ha impedito a Casamonti, nel doppio ruolo di gallerista e collezionista, di esporre la raccolta privata delle opere che ha deciso di togliere dal mercato per farla diventare patrimonio familiare legato alla sua memoria e al contempo un bene per la città, condividendola con il pubblico. Ci accompagna nella visita la dottoressa Sonia Zampini, collaboratrice storica di Casamonti, chiamata a dirigere questo particolare museo che nei prossimi anni, quando anche la seconda parte della collezione sarà presentata al pubblico (evento previsto per la prossima primavera), sarà animato da incontri didattici, conferenze, singoli focus sugli artisti, prestiti: attività che rendono dinamica e viva una raccolta di questa qualità e importanza.

 

“Non è un caso che ci troviamo a Palazzo Salimbeni, scelto non solo per il suo indubbio valore storico, ma anche per la sua vicinanza al luogo da cui tutto è partito” ci racconta la dottoressa Zampini.“La prima sede della galleria di Casamonti che era situata in via Tornabuoni 5, aperta nel 1981. Una passione per l’arte che è nata anche grazie al padre Ezio, ed è per questo che è all’inizio del percorso espositivo è posto un suo ritratto del 1952 ad opera di Ottone Rosai, opera da cui, si può dire, tutto è partito: all’epoca Roberto Casamonti aveva 12 anni e fu il suo primo contatto diretto con quel mondo che doveva diventare al centro della sua professione e della sua vita. La collezione qui presentata è cronologicamente molto ampia, non è entrata tutta in questo primo ciclo che abbraccia il Novecento sino agli anni’60, mentre un secondo appuntamento mostrerà la collezione dagli anni ’60 ai giorni nostri: entrambe le esposizioni sono curate da Bruno Corà, in stretta collaborazione con Casamonti.

Il racconto si snoda a partire dall’interesse verso le opere d’arte del Novecento italiano, introdotto da un ritratto di Boldini e una pregevole opera di Giovanni Fattori del 1899, In ricognizione, che costituisce un ponte con l’arte dell’800 e proviene dalla collezione dei Savoia. Notevole la Grande serata nera al Salone Margherita di  Giacomo Balla del 1904, una dipinto interessante perché ancora del primo peridodo figurativo con accenni divisionisti: Casamonti ha voluto acquistarlo, nonostante fosse notificato dallo Stato italiano, con l’intenzione di tenerlo per sé. In queste prime sale abbiamo i grandi maestri del ‘900, gli Italiani a Parigi, Paresce, De Pisis,  Savinio, Saroni, Tozzi, Giorgio de Chirico, di cui si annovera accanto ad un celebre Ettore e Andromaca e una Piazza d’Italia un’opera rarissima del 1909, La Passeggiata (o il Tempio di Apollo a Delphi), che rimanda direttamente alla lezione di Böcklin. Per Casamonti la comparazione di momenti stilistici diversi per uno stesso artista è un elemento di grande interesse, così come la datazione e la riscoperta di alcuni aspetti meno noti al grande pubblico: di Marino Marini è infatti esposta un prezioso dipinto su carta a fianco delle sue più celebri sculture. Molto interessante il Fausto Pirandello, così come un raro Guttuso degli anni ’40 Fiasco, candela e bollitore.

Renato Guttuso, Fiasco, candela e bollitore,1940

Si passa dal figurativo (bellissimi Casorati e Campigli) all’astrattismo geometrico di Magnelli, sino a Soldati e  Licini; di Renato Birolli si conserva un’opera particolarissima, Uccelli del 1947, che preconizza i tempi per stile e materiali; l’artista aveva già inserito infatti alcuni elementi extrapittorici, che diventeranno materia d’indagine per molti artisti, come Fontana, solo alcuni anni dopo.

Massimi Campigli, Donne ai tavolini, 1952

La sala successiva apre agi artisti internazionali e al Cubismo con Picasso, Braque, Leger, sino ad un rarissimo Le Courbousier cubista. Non mancano raffinati Paul Klee e Wassily Kandinsky e per il Surrealismo un grande Ernst del 1965 in dialogo con uno di più contenute dimensioni, Lam e Matta.

Pabolo Picasso, Deux pigeons, 1960

Da notare un Fautrier molto importante per dimensioni e datazione. Nella quarta sala si torna in Italia con il Gruppo Forma 1: Carla Accardi, Achille Perilli, Antonio Sanfilippo e Giulio Turcato e un interessante focus su Piero Dorazio, amico personale di Casamonti (così come molti deli artisti della sua collezione), di cui sono esposti tre lavori che ripercorrono tre momenti diversi del suo percorso artistico, sino ai celebri reticoli.

Collezione Casamonti, veduta dell’esposizione

Importati opere di Afro dialogano con due importanti lavori di Capogrossi, Colla, Tancredi e Vedova. Si arriva quindi all’ultima sezione in cui brillano le opere di Alberto Burri e di Lucio Fontana, grande passione di Casamonti: si nota subito il notevole Cavallo, un scultura in materiale refrattario del 1935; a fianco dei celebri Tagli un bellissimo Concetto Spaziale del 1962 che sembra anticipare le Fine di Dio. Altrettanto raro il Concetto Spaziale, L’inferno del 1956, appartenente ad una serie di quattro lavori di forma esagonale, gli unici realizzati da dall’artista nella sua produzione.

Alberto Burri, Rosso nero, 1955

 

Ancora opere di Scheggi, Alviani fino a Jannis Kounellis e a due Achrome di Manzoni, a cui segue una ottima selezione di artisti internazionali, Albers, Yves Klein con Marque de feu – empreinte d’un nu del 1961, e una Jackie (1964) di Andy Warhol. Nel bel filmato che accompagna la mostra, Casamonti racconta la sua collezione spiegando il perché della scelta di aprire una Fondazione e legare queste opere ad una fruizione pubblica: “Opere a cui sono affezionato – spiega il Casamonti – e che avrei piacere rimanessero alla mia famiglia, ma che ho avuto anche il desiderio che non fossero chiuse nelle nostre case, ma piuttosto, come avviene nei musei, che fossero fruibili al pubblico in un palazzo così importante per Firenze”.

Collezione Casamonti, veduta dell’esposizione

Un’ultima particolarità proprio su Palazzo Bartolini Salimbeni: l’impresa gentilizia con i celebri tre ovari di papavero che decorano in vari punti le architetture accompagnano la scritta PER NON DORMIRE, che si vede incisa sulle finestre: la leggenda riferisce che le origini della ricchezza della famiglia siano dovute all’astuzia di un antenato commerciante del XIV secolo che, venuto a conoscenza dell’arrivo per il giorno dopo di un prezioso carico di lana dal Nord Europa, riuscì ad accaparrarselo con un’astuzia: la sera prima offrì ai suoi concorrenti un banchetto e del vino oppiato. Il motto “Per non dormire”,  dunque, sta a significare che la fortuna dei Bartolini Salimbeni deriva proprio dal “non aver dormito”, il nostro attuale “Chi dorme non piglia pesci”. Fatto straordinario che il Palazzo alcuni secoli dopo, per curioso destino, sia stato sede di un famoso albergo frequentato da viaggiatori di tutta Europa (dove certamente il desiderio era quello di dormire, e la scritta avrà destato stupore!) e che oggi, più coerentemente, conservi la collezione di un uomo imprenditore e appassionato, che nello spirito degli instancabili e saggi commercianti fiorentini ha certamente dormito pochissimo, amato molto, e oggi, più generosamente, condivide con gli altri lo straordinario risultato di questa sua passione.

Palazzo Bartolini Salimbeni, dettaglio

 

 

About Paola Stroppiana

Paola Stroppiana (Torino, 1974) è storica dell’arte, curatrice d’arte indipendente e organizzatrice di eventi. Si è laureata con lode in Storia dell’Arte Medioevale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino, città dove ha gestito per più di dieci anni una galleria d'arte contemporanea. Collabora con diverse testate per cui scrive di arte e cultura. Si interessa a nuovi percorsi d’indagine come il gioiello d’artista e le ultime tendenze del collezionismo contemporaneo, argomenti sui quali ha tenuto conferenze presso l’Università degli Studi Aldo Moro di Bari, Il Museo Civico di Arte Antica e la Pinacoteca Agnelli di Torino, il Politecnico di Milano.
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