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Lèggere Mani. Un progetto di Roberta Montaruli e Max Zarri.

Dal 21 novembre all’8 dicembre 2019 L’Officina Con-temporanea ha ospitato Lèggere mani, progetto inedito di Roberta Montaruli (Torino, 1978) e Max Zarri (Torino, 1975).

La proposta espositiva, dedicata al valore semantico delle mani – strumento umano di relazione e conoscenza, di creatività e sperimentazione – è nata dal desiderio di attivare la partecipazione e la condivisione degli abitanti della Residenza temporanea Luoghi Comuni San Salvario al cui interno si sviluppa L’Officina Con-temporanea, come dinamica proficua per dialogare con l’altro.

Roberta Montaruli e Max Zarri, Lèggere mani, 2019, veduta d’installazione, L’officina Con-temporanea, Torino

Attraverso l’utilizzo di linguaggi visivi diversi, dal disegno alla scultura, dall’installazione alla fotografia, Roberta e Max hanno coinvolto numerose persone di cultura e nazionalità differenti – residenti, amici, soggetti incontrati lungo il percorso – realizzando il calco delle loro mani e reinterpretando il loro racconto di vita: gli artisti hanno così reso possibile una scoperta ed un’apertura dei singoli individui verso il comune sentire.
Le opere si configurano come “luoghi sinestetici” nei quali gli artisti invitano lo spettatore a diventare parte attiva del lavoro a livello percettivo, sensoriale e immaginifico, in un processo di condivisione e scambio di valori e significati.

Abbiamo incontrato gli artisti per comprendere meglio gli intenti e i significati della loro ricerca: un work in progress destinato a svilupparsi in nuovi contesti fertili di senso.

Qual è stata la gestazione del progetto Lèggere Mani?
Io e Max abbiamo innanzitutto riflettuto su cosa significhi vivere temporaneamente in un luogo e chiamarlo casa, su quanto le nostre esperienze di vita influiscano sul formarsi della nostra identità materiale e sensibile.
Abbiamo affrontato questo progetto chiedendo aiuto agli abitanti della Residenza Luoghi Comuni di San Salvario; un luogo in cui le persone trovano temporaneamente un approdo, un riparo, un posto dove casa significa accogliere o imparare ad accogliere tutte quelle sfaccettature che compongono quell’intricato puzzle chiamato VITA. A loro abbiamo chiesto di essere parte attiva della nostra ricerca: sono stati, così, integrati in essa, diventando elemento essenziale dell’ Opera.

Roberta Montaruli e Max Zarri, Lèggere mani, fase di lavorazione

Per raccogliere testimonianze ed esperienze abbiamo pensato che non poteva esserci elemento migliore delle mani, come metafora di identità e differenza, unicità e appartenenza. Ognuno di noi ha due mani; apparentemente sono tutte uguali, invece accolgono nei loro palmi quei segni specifici che affermano il nostro essere UNICI. Da qui deriva il titolo di questo progetto Lèggere Mani che, nell’includere diversi mezzi espressivi, porta già in sé un doppio significato: da un lato la comprensione dell’esperienza di ciascuno attraverso questa parte del corpo, dall’altro la “leggerezza” di aver condiviso un racconto di vita.

Il poeta francese Edmond Jabès nel 1987 scrisse La memoria e la mano, un testo intenso in cui la mano è descritta come dispositivo di scambio: essa cura la ferita, consola come un «tiepido spessore» d’ombra. È comunicazione: la mano si «spalanca» al mondo. È realizzazione di sé: senza mani «si muore». Cosa ne pensate? Cosa rappresenta per voi la mano?Pensiamo che la mano sia una mappa personale e intima, che raccoglie le esperienze passate, presenti e future.
È affascinante il fatto che le mani includano, mostrino e contemporaneamente nascondano i “segni” che portiamo, unici e talvolta misteriosi.
Le teniamo naturalmente lungo il corpo con i palmi rivolti verso di esso, quasi a nasconderle e a proteggerne una mappatura privata, intima.
Esse rivelano molto della nostra personalità e del nostro percorso, conservando tracce più o meno visibili di ciò che siamo e di ciò che diventeremo.
Sono fondamentali per conoscere ciò che ci circonda: è attraverso il tatto che entriamo in relazione con le persone e con gli oggetti; ed è proprio con le mani che avviene l’apprendimento più semplice e diretto.

Ci potete spiegare il significato del lavoro anche in relazione allo spazio espositivo e partecipativo in cui si colloca?
Il luogo in cui avverrà la restituzione di questa ricerca è fondamentale, infatti il risultato sarà un’installazione site-specific presentata all’interno dell’Officina con-temporanea, ovvero lo spazio dedicato all’arte contemporanea della Residenza Luoghi Comuni, proprio dove abitano le persone alle quali ci siamo rivolti per realizzare questo progetto.
Il fruitore di un’opera d’arte tende ad immedesimarsi in essa, attivando una riflessione semantica personale. Qual è il messaggio che vorreste trasmettere con questo progetto?

Lèggere mani, fase di lavorazione

Partendo dal presupposto che non diamo risposte a domande, ma ci interroghiamo e poniamo noi stessi di fronte ad una serie di riflessioni, pensiamo che questo lavoro possa indurre a ragionare sull’identità umana, sull’appartenere ad un genere, pur essendo unici. L’abitare i luoghi, le case, gli spazi è la traccia e la mappa del nostro vivere unico ma anche comune.
Il progetto Lèggere Mani vuole essere altresì un modo per mostrare quanto nel nostro essere simili, non ci conosciamo così profondamente.
Questa ricerca pone particolare attenzione sull’esperienza del vivere contemporaneo e su quanto, a volte, sia complesso entrare in contatto con chi ci circonda, proprio perchè, anche se simile, spesso ci allontana.
Abbiamo, quindi, scelto la mano come soggetto della nostra ricerca e metafora di senso che ci permette di sviluppare un’indagine molto complessa e ricca di sfumature.

Tra le diverse chiavi di lettura del progetto esiste una forte componente immaginifica che stratifica proprio realtà e immaginazione e considera la mano come strumento di conoscenza. In che modo avete pensato di interpretare questo concetto?
La mostra si svolge come un percorso in tre atti: la ri-nascita, il viaggio e lo specchio. Ogni atto è approfondito da tre media diversi: la fotografia, il disegno e la scultura.

Roberta Montaruli e Max Zarri, Lèggere mani, 2019, veduta d’installazione, L’Officina Con-temporanea, Torino

Tutto comincia con un antefatto: il calco in gesso della mano destra (sinistra per i mancini). La mano destra rappresenta la volontà, è la mano del fare, quella che afferma, in qualche modo, quella che ci definisce.
Nel primo atto – quello della ri-nascita – la scelta formale ricade sulla fotografia ( in bianco e nero) quasi come se fosse un’azione necessaria: bloccare nel tempo quell’istante di tensione dato dalla rivelazione.
La mano nuova, viene immortalata nel momento in cui il calco viene estratto dalla dima, liberata quasi del tutto dal materiale che ne ha contenuto l’impronta, rimane sospesa in un equilibrio precario che già sottintende la prossima volontà di essere: di fatto l’atto pare una ri-nascita. La scelta del bianco e nero esalta la drammaticità del momento e la scoperta di questa ri- nascita, lo stupore di vederci da fuori, per un attimo immaginifico, ci rapisce e ci traghetta verso l’atto successivo.

Lèggere mani, fase di lavorazione

Nel secondo atto – il viaggio – l’oggetto che è ri-nato cerca la sua identità, l’affermarsi del suo essere unico, e lo fa attraverso il disegno delle linee che abbiamo sui palmi delle mani svincolandole però dal contesto.
Con il disegno si crea così una mappa in cui le linee della mano richiamano le forme di strade, fiumi, percorsi…
Questi ‘rilievi’ vengono eseguiti utilizzando una penna con inchiostro invisibile: solamente attraverso l’uso di una torcia, che sarà messa a disposizione dei visitatori, sarà possibile vedere i disegni.
In questo modo tutti saranno messi nella condizione di cercare, sulla superficie bianca del foglio, qualcosa che immediatamente non comprenderanno; questo è esattamente ciò che accade nel momento in cui cerchiamo di entrare in contatto con gli altri: scorgiamo qualcosa e magari troviamo alcune similitudini ma non cogliamo interamente chi abbiamo di fronte.
Allo stesso tempo questa modalità di leggere il disegno pone colui che guarda in una condizione di grande attenzione verso ciò che ha di fronte, restituendo così a ciò che vede – e in qualche modo riconosce – nuova importanza.

Roberta Montaruli e Max zarri, Lèggere mani, veduta d’installazione, L’Officina Con-temporanea, Torino

L’ultimo atto – lo specchio – è allo stesso tempo fine e inizio del cammino. Lo spettatore giunge difronte all’oggetto reale. È come vedersi riflesso in uno specchio; avviene uno scollamento tra reale e irreale, ci si osserva meravigliati come dall’esterno e per un tempo brevissimo, ci vediamo come gli altri ci vedono. La mano, in quel momento è metafora della nostra identità: è nostra ma è contemporaneamente fuori di noi, affonda, affrontando l’immaginifico, per poi ricomporsi nel nuovo reale e ricominciare da una nuova ri-nascita.

La vostra indagine si è sviluppata attraverso tecniche differenti; dal disegno, alla fotografia, alla scultura, all’arte partecipata avete creato un racconto sinestetico per descrivere la vostra esperienza. Qual è stato l’esito di questo percorso?
Il risultato di questa ricerca è una proposta espositiva che include diversi mezzi espressivi dei quali ci siamo serviti per affrontare e sviluppare concretamente il tema dell’identità, dell’appartenenza, del vissuto individuale, dell’esperienza personale e intima, del cambiamento, dell’adattamento e del rinnovarsi.
Nella nostra prima mostra insieme, ognuno di noi ha condiviso il suo modo di lavorare e il suo medium, Max la fotografia e Roberta il disegno, ma ci siamo presto accorti che non sarebbero stati sufficienti per una restituzione esaustiva del progetto. Abbiamo sentito la necessità di inserire nel lavoro anche una parte più “reale”e “concreta” come la scultura: da un lato perchè entrambi siamo stati affascinati da un medium ancora inesplorato, dall’altro perchè crediamo che l’Arte non si debba piegare alla singole preferenze della tecnica, ma che sia il racconto ad ispirare le regole del “fottuto campo da gioco”.
In effetti è la strada che si percorre la parte più importante di un viaggio, non tanto il suo inizio o la sua fine, ma l’esperienza che si matura nel mezzo.
Il racconto ispira, lo spazio comanda, il resto si compone solo di “dispositivi” che vengono impiegati per tracciare, nel migliore dei mondi possibili, il cerchio.

L’Officina Con-temporanea
Residenza Luoghi Comuni
Via San Pio V 11
Torino

About Elena Inchingolo

Elena Inchingolo (Torino, 1976) è storica dell'arte, curatrice e archivista d’arte contemporanea. Laureata in Storia dell'Arte Contemporanea presso l'Università degli Studi di Torino, città dove vive e lavora, è stata coordinatrice del progetto di ricerca e sviluppo degli Archivi della Collezione del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea e ha gestito una galleria d’arte contemporanea in Torino, come responsabile della curatela e dell’allestimento di progetti espositivi e fieristici in Italia e all’estero. Si dedica all’ideazione e alla curatela di proposte espositive d’arte contemporanea per istituzioni e gallerie. Collabora con diverse testate giornalistiche scrivendo di arte, cultura e design. Si interessa di conservazione e catalogazione del patrimonio storico-artistico contemporaneo e, nell’estate 2017, è stata selezionata per partecipare al primo Workshop per Archivisti d’Arte Contemporanea attivato dal CRRI - Castello di Rivoli Research Institute.
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