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Ray Smith inaugura Freaks Cabinet, nuovo progetto da GSF a Torino

GSF Contemporary Art, giunta al giro di boa di un anno di attività, si arricchisce di un nuovo spazio espositivo – o meglio, di una nuova proposta progettuale in situ– in parallelo alla programmazione “ufficiale”: il Freaks Cabinet, luogo di idee, “gabinetto sperimentativo”, collocato – fuori da ogni convenzionalità – in bagno.

Nato da un’idea dell’artista Pablo Mesa Capella e prontamente condiviso dai galleristi Marco Albeltaro, Riccardo Costantini e Julia Kravets, Freaks Cabinet è ispirato al celebre film del 1932 diretto da Tod Browning su un circo degli “orrori”(soprattutto morali) recitato da attori con reali malformazioni, fatto che ai tempi fu motivo di scandalo e censure. Il concetto di “diverso” è qui declinato al mondo dell’arte contemporanea e lo inaugura una spietata “storia di Natale” dell’artista americano Ray Smith, nera, nerissima, dal titolo “Santa Claus Is Coming” che fa riferimento allo scandalo sessuale dei casi di pedofilia nella chiesa cattolica di Boston; lo accompagna una sorte di manifesto programmatico che vale la pena di riproporre:

Freaks Cabinet è uno spazio di rivolta. L’espressione della vittoria del marginale che diventa protagonista | Freaks Cabinet rompe uno schema di cui è parte | Uno spazio di igiene estetica | Lo spazio di un’esperienza in solitudine, in cui si scandisce il tempo lento dell’attesa | Uno spazio scenico in continuo divenire, mutabile | Freaks Cabinet prende il sopravvento quando la galleria è uscita a farsi una birra

 

Ne parliamo con Marco Albeltaro, che ci racconta la genesi del progetto, e con Pablo Mesa Capella, artista spagnolo che vive e lavora a Torino e che da tempo si distingue sulla scena artistica cittadina per creatività (bellissima l’installazione per lo studio Glebb&Metzger dello scorso giugno)

Ricorre in questi giorni il primo anniversario della galleria: come collezionista e gallerista sei nell’ambiente in realtà da molti anni: come hai trovato il contesto torinese e qual è lo stato dell’arte attuale non solo in termini di collezionismo ma piuttosto di proposte artistiche?

Torino è una città viva nonostante si provi a fare di tutto per anestetizzarla. La nostra è la città di Artissima, della GAM, del Castello di Rivoli e di tante istituzioni private che lavorano molto sul territorio. Ma in questo ultimo periodo l’arte non è certo una delle priorità pubbliche. Pensiamo alla Mole: si spegne l’installazione di Mario Merz per trasformarla nel pennone di un centro commerciale con tanto di luci stroboscopiche… Ecco questa mi sembra l’immagine più calzante, quella della Mole, che ci ricorda come a Torino l’arte ci sia e sia viva ma venga messa da parte a causa di una profonda insensibilità. Torino è però una città piena di artisti importanti di generazioni diverse. Io lavoro con molti di loro e sono profondamente convinto che la generazione dei quaranta-cinquantenni che abbiamo in città stia producendo cose destinate a durare nel tempo. Penso a Enrico Iuliano, a Nicola Ponzio, a Enrico De Paris, a Ferdi Giardini, tutti artisti legati a Torino che stanno facendo una ricerca seria, autonoma, innovativa ma soprattutto capace di misurarsi con l’eredità artistica di questa città. Ma penso anche a figure di outsider come Gianni Colosimo o chi a Torino ci insegna, come Franko B. Tutte figure che rimarranno: i collezionisti più timidi non li comprano? Peggio per loro, ne riparleremo tra qualche anno.

Il nuovo progetto Freaks Cabinet ribalta il concetto di project room (gli artisti sono già affermati!) e al contempo rimanda a scelte su tematiche particolari nell’ambito della ricerca stessa dell’artista: un doppio corto circuito che, non ultimo, sfrutta un luogo “privato” Cosa fate e cosa farete per Freaks?

Con Pablo Mesa Capella abbiamo voluto dare un’anima ad uno spazio assolutamente inconsueto. (Ora che ormai si è inaugurato possiamo dirlo: le mostre di Freaks vengono messe in scena nel bagno della galleria). Abbiamo personificato uno spazio lavorando alle mostre come se stessimo lavorando a un’opera, a un insieme artistico omogeneo. Freaks è uno spazio di liberazione ma anche di critica: è come se con la sua stessa presenza denunciasse qualcosa di diverso di volta in volta. È un lavoro anche politico, quello di Freaks, perché di fronte a tante mostre che sembrano delle baracconate, noi proviamo ad andare alle origini, perfino oltre l’essenza e spostiamo la musealità nel bagno. Freaks, quindi, vuole rimanere l’anti-project room e ci esporremo sempre artisti molto importanti che quindi non temono di essere messi in bagno ma, anzi, ne sono entusiasti e accettano la sfida. Lo spazio di Freaks è solo per coraggiosi, insomma.

Puoi anticiparci qualche progetto per il prossimo anno?

Ancora no. Stiamo trattando con artisti importanti. Ci saranno sicuramente delle belle sorprese.

Quale artista ti ha favorevolmente sorpreso ed è andato oltre alle tue aspettative anche nella risposta del pubblico?

Devo dire che tutte le mostre sono andate molto bene. Il pubblico risponde e risponde con grande attenzione. Per esempio la mostra in corso parallelamente a quella di Freaks Cabinet, che si intitola “Strumenti un rito esistenziale”, sta avendo grande successo. La sfida di mettere sullo stesso piano design e fotografia ha pagato. Si tratta di una mostra che Riccardo Costantini ed io abbiamo voluto molto e così abbiamo coinvolto tanti artisti e designer che hanno accettato di mettersi in dialogo l’uno con l’altro.

Pablo, la diversità può avere diverse accezioni, essere nascosta come esibita, difesa  o negata; cosa significa essere freaks oggi nell’arte come nella vita

Freaks è un film degli anni Trenta che racconta un mondo di fenomeni da baraccone, di gente diversa dalla normalità, di “alternativi” si direbbe oggi. Però in questa nostra situazione contemporanea, in cui tutti si dicono “alternativi”, in cui si gioca a fare i “diversi” pur essendo in realtà profondamente conformisti, proporre un progetto come Freaks vuol dire provare a rimettere ordine ma scompaginando le carte. Lo facciamo nell’arte e anche nella vita. Io, da artista, mi sono messo in gioco costruendo un progetto curatoriale non in linea con il “sentire comune”, quello delle mostre tutte perfettine o piene di effetti speciali; ho messo molto in Freaks Cabinet perché credo che si debba fare qualcosa, adesso, in questo nostro tempo per ripartire, per togliere di mezzo le scorie superflue. Non penso che la vita possa essere un’opera d’arte, però penso che la coerenza che si mette nella vita di tutti i giorni possa servire anche all’espressione artistica.

Per info :

GSF contemporary Art

Galleria San Federico, Torino

About Paola Stroppiana

Paola Stroppiana (Torino, 1974) è storica dell’arte, curatrice d’arte indipendente e organizzatrice di eventi. Si è laureata con lode in Storia dell’Arte Medioevale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino, città dove ha gestito per più di dieci anni una galleria d'arte contemporanea. Collabora con diverse testate per cui scrive di arte e cultura. Si interessa a nuovi percorsi d’indagine come il gioiello d’artista e le ultime tendenze del collezionismo contemporaneo, argomenti sui quali ha tenuto conferenze presso l’Università degli Studi Aldo Moro di Bari, Il Museo Civico di Arte Antica e la Pinacoteca Agnelli di Torino, il Politecnico di Milano.

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