Nel cuore di san salvario tra il chiassoso vociare dei locali e i portoni ottocenteschi trova posto una piccola porticina rosso scarlatto senza campanello, senza maniglia o invito alcuno. Perchè è senza campanelli e senza maniglie il mondo che nasconde dietro, quello dell’artista Paola Bisio.
Uno spazio bianco, delle tele un po di qui e un po di la, un tavolo con innumerevoli pennelli, e libri, libri per terra e libri sulle sedie e pieni di orecchie e adesivi colorati.
“è stato studiato che ci sono circa 250 mila modi di lavare i piatti, e vanno tutti bene, sai?.” Mi accoglie così Paola, una donna i cui occhi nascondono un segreto profondo, vecchio di anni, secoli, forse millenni.
Esistono prodotti artistici con valore politico, sociale, decorativo. Paola appartiene a quel filone che innalza il femminismo sul piano politico e psicologico e lo porta in alto senza tanti fronzoli, senza voltarsi indietro cercando l’occhio rassicurante di seguaci.
Ella affronta una crescita artistica contrastata da un protocollo sociale e casalingo che tenta di tenerla lontana dagli studi d’estetica, ma alla fine degli anni 90, dopo aver concluso il suo percorso formativo da architetto, si affranca dal contesto domestico e prende lezioni da Preverino, allora insegnate di pittura dell’accademia della nostra città. Folgorata dall’operato di Anselm Kiefer con i suoi metodi non canonici di rendere il colore sulla tela, impara dal suo modus operandi quanto sia importante l’utilizzo di uno specifico oggetto in quanto materiale per esprimere un concetto nell’opera d’arte. Quanto quell’oggetto sia e possa essere solo in quella determinata opera, con tutta la sua carica simbolica.
La prima storia che Paola mi racconta questa sera è quella de La Tempesta, di Shakespeare. Il grande classico che ha ispirato il suo primo ciclo è una parabola della vita: la situazione di blocco doloroso come cenere da cui rinascere. Mi mostra la sua personale interpretazione di Ariel, lo spirito positivo: “ci sono pezzi di specchi, stai attenta a non tagliarti”; mi perdo, in quelli che sono minuscoli riflessi della mia immagine, immersi in piccole bolle di cristallo che sinuose si librano su uno sfondo nero, schivando morbidamente dei grumi che quasi si mimetizzano con la tela.
La seconda storia che mi viene raccontata da questa voce materna così rassicurante quanto placida è quella de “L’amante della cina del Nord”, di Duras, di cui rappresenta due situazioni totalmente contrastanti: il rumore del mare, confuso con quello del vento, in onde lunghe: tiepide pennellate di blu all’imbrunire, come cullate da un vento lontano;
e le maree hanno invaso le risaie, hanno portato via le dighe…era tutto irriconoscibile da tanta schiuma c’era. Il posto era diventato un gorgo di schiuma: questa volta le pennellate sono plumbee, desaturate, sferzate da un vento forte che porta via ogni raggio di sole e lascia tutto sotto la melma ovattata della follia.
La terza storia che ascolto ormai rapita è quella di Vassilissa, di Estés: un percorso iniziatico femminile, il seme arcaico della storia di Cenerentola. “Il Rio Abajo Rio, Il fiume che scorre sotto il fiume, altro non è che il doppio livello di profondità che solo noi donne abbiamo.” E mi mostra questo pacioso dipinto su cui scorrono indisturbate due strisce di materia candida e delicata: la prima, più in alto, percorsa da una ferita azzurra; la seconda, più in profondità, è invasa da lucenti cristalli d’oro.
L’ultima storia che mi racconta mentre fuori il mondo procede e noi ci lasciamo rapire da un mondo di incanti e incantevoli similitudini di vita, è quella della Storia Infinita di Ende. Questa volta si tratta invece di un percorso iniziatico maschile: le suggestioni coloristiche sono incredibili, i dipinti che raccontano il Goab, il deserto colorato, gioiscono di un’improvvisa ipercromia tattile.
Insomma, alla base della ricerca di quest’artista, che è una piccola biblioteca vagante, c’è un lignaggio spirituale femminile ben evidente e trionfante. I parallelismi che nutrono, ispirano e permeano le opere di Paola provengono dai minuziosi studi che ella fa dei testi scritti dall’archeologa Marja Gimbutas; non è solo una ricerca artistica la sua, ma anche e soprattutto personale: “sono alla continua ricerca di altri livelli di profondità dell’essere me, in quanto donna”.
Paola Bisio assorbe e poi ri-narra nella sua chiave di lettura e di espressione estetica i concetti primitivi della mitologia antica e contemporanea: “non sono un’illustratrice di fiabe: un illustratore impone semplicemente la sua visione in ausilio a un testo scritto. Io lo rappresento portando in superficie parti di me per agganciare la psiche del fruitore e portarlo al grado più libero di immaginazione. Ognuno di noi ha un potenziale di conoscenza e consapevolezza di sè e della realtà, che di frequente rimane inespresso. Con i quadri che produco voglio far emergere questo potenziale, sia in me, che parallelamente nel mio fruitore.
“In autunno farò una mostra in cui proporrò un percorso tra le immagini dei reperti preistorici trovati dall’archeologa Marja Gimbutas nel corso dei suoi scavi in Europa dell’Est. Non ci saranno solo quadri, ma anche quelli che io ho chiamato “stendardi”: grandi tele dipinte in colori leggeri, libere dalla struttura rigida del telaio, libere di muoversi nell’aria, che riproducono proprio quelle immagini preistoriche. Qui l’obiettivo è di dare all’immagine simbolica un valenza artistica che coincide con il nostro concetto di arte senza snaturare la forza di simbolo capace di evocare profonde relazioni con la nostra parte inconscia archetipica.”
E io ci sarò, perchè queste -sole- tre ore di intervista mi han lasciato una voglia immensa di farmi raccontarie altre storie. Le storie da ascoltare, da vedere, da toccare, dietro la porticina rosso scarlatto del 22G di via Principe Tommaso.