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PLAY: i Kataklò al Teatro Carcano di Milano

Un’intervista a Giulia Staccioli per svelare la magia di PLAY lo spettacolo più conosciuto a livello internazionale della compagnia da lei fondata e diretta: i Kataklò. Dopo quasi dieci anni di tour mondiali di grande successo Play è al Teatro Carcano di Milano per 5 serate dal 13 al 17 febbraio 2019. Nella volontà dell’ideatrice e coreografa Play è nato per creare un ponte tra la danza e il gesto atletico. L’idea originale risale al 1996, molto prima delle Olimpiadi di Pechino del 2008 dove lo spettacolo ha avuto il suo battesimo a livello mondiale in una veste rinnovata. 

Grazie alla creatività sensibile ed ironica di Giulia Staccioli, le coreografie di Play colgono nuove sfumature nei gesti atletici delle diverse discipline sportive unendoli a quelli della danza. Le forme e i colori creati dai sette performer, con gesti acrobatici e teatrali insieme, raccontano storie strutturate in quadri che, proiettati sullo sfondo nero del palcoscenico, richiamano il mondo acquatico di creature fantastiche e creano cartoline di sport che hanno perso qualsiasi connotazione agonistica.

Giulia Staccioli, fondatrice e coreografa della compagnia

Play lo spettacolo dei Kataklò e il suo successo mondiale
Play è lo spettacolo con cui io ho presentato la Compagnia nel 1996, anche se aveva un altro titolo “Indiscipline”, per me era importante portare in teatro il tema. Il mio obiettivo era di creare un dialogo tra due mondi che apparentemente avevano un grande pregiudizio uno nei riguardi dell’altro: l’arte e lo sport. Stiamo parlando di un periodo in cui ancora la contaminazione tra generi non era così presente. Il tema è lo sport guardato, osservato e sublimato non da un punto di vista agonistico, ma mettendo in evidenza il gesto atletico. Un corridore che corre è bello, se la falcata è armonica ed è corretta, a prescindere dal fatto che arrivi primo o no. Nel mio immaginario, nelle coreografie che sono presenti nello spettacolo, quando parlo di sublimazione intendo questo: fare diventare una corsa anche qualcosa di diverso e utilizzare i corpi dei danzatori per spaziare nella ricerca e nella sperimentazione in ogni direzione.
Dopo 23 anni, con uno spettacolo che ha girato il mondo e con molte altre produzioni che si sono susseguite nel tempo, vedere che questo primo lavoro continua ad essere veramente attualissimo, anzi forse più attuale adesso che all’epoca perché siamo stati un po’ dei pionieri, mi dà grande gioia. E’ stata una scommessa, all’inizio, che adesso a distanza di anni mi da grandi ed ulteriori soddisfazioni. Play rimane il primo grande spettacolo della Compagnia e quello che si porta dietro più esperienze e occasioni in cui è stato rappresentato.

“Quando volava l’airone”, coreografia dedicata al ciclismo, spettacolo del 1998 – Foto di Danilo Codazzi

Nella Compagnia si sono alternate cinque generazioni di performer e nella prima c’ero anch’io. I primissimi che mi hanno seguita, in questo salto nel buio, erano tutti ginnasti e miei ex compagni di squadra, venivano dalla ginnastica ritmica e dalla ginnastica artistica. La prima è stata una generazione che entrava in teatro per la prima volta e quindi, a livello coreografico, il gesto era ancora molto atletico. Nel tempo si è creata una sorta di arricchimento, anche dal punto di vista del gesto. Sono tutte e cinque generazioni che hanno vissuto il mio mondo e quello della Compagnia Kataklò, sia come formazione che come interpreti. Alcuni nel tempo hanno deciso di fare altro nella vita o di aprire dei progetti personali, comunque sono stati con me tantissimi anni, altri sono ora docenti dell’Accademia Kataklò.

La particolarità di questo ultimo cast è che tutti nascono come diplomati dell’Accademia, che io ho aperto otto anni fa. All’inizio i performer arrivavano dal mondo sportivo, o comunque entravano tramite audizione, e poi facevano la formazione con me all’interno della compagnia (dal momento che tutti restavano per molti anni). Adesso, invece, abbiamo di fronte una generazione diversa dalle altre, perché arriva in compagnia con un bagaglio molto più ampio. La formazione in Accademia dura tre anni molto impegnativi, durante i quali si imparano tecniche di ogni genere. Questo cast porta sicuramente una grande ventata di freschezza e desiderio di andare in scena, ne sentono la responsabilità ma mettono dentro tanto. Era così anche per le generazioni precedenti, ma per loro rappresenta più un’ambizione, un risultato da raggiungere, prima questo era magari meno sentito.

Manifesto della tournée di Play, affissione fuori dal Teatro Oi Casa Grande di Rio de Janeiro, 2016 – Foto di Renato Mangolin

Il successo mondiale dello spettacolo
Nel 2008 c’è stato un riallestimento con le musiche originali, è stato fatto proprio un lavoro di upgrade e di cambiamento della struttura dello spettacolo per portarlo alle Olimpiadi della cultura di Pechino. Play è stato ben accettato in tutto il mondo perché il linguaggio del corpo è universale. Riesce a parlare a culture molto diverse dalla Cina all’Australia, dal Nord e al Sud America. Questo dialogo tra mondi diversi ha veramente funzionato molto bene. La possibilità di far conoscere il teatro a chi magari non vi aveva mai messo piede, perché veniva dal mondo sportivo, e d’altra parte far apprezzare al mondo della danza e del teatro anche quei gesti non così usuali, che fanno parte del DNA dello sport, è stato un successo. E’ chiaro che io ho tolto totalmente l’aspetto agonistico, non mi interessava la vittoria o la sconfitta ma il movimento e il gesto.

Il pubblico
Tutte le tournée dello spettacolo sono andate molto bene. Torniamo ciclicamente in Brasile con produzioni diverse da molti anni, e abbiamo sempre trovato un’organizzazione stupenda in teatri giganteschi. Credo che il motivo sia l’organizzazione più che il successo di pubblico di per sé. E’ chiaro che andare in Cina è molto più complicato dal punto di vista degli spostamenti o economico. Il pubblico cinese che io temevo molto, perché comunque sono anche degli esperti e specialisti verso un certo tipo di movimento, è stato invece una sorpresa meravigliosa. L’apprezzamento era rivolto principalmente alla creatività italiana, che loro riconoscevano all’interno dello spettacolo. Quindi diciamo che, nelle varie parti del mondo, sono stati colti aspetti diversi dello spettacolo, che però hanno sempre portato ad ottime critiche. Io considero lo spettacolo educativo, nel senso che per me deve aprire la mente a tutti, uscendo dai vari pregiudizi.

Collaborazioni
Dopo il 2008 ho continuato a lavorare molto con la Cina. C’è uno spettacolo permanente, La ragazza di Hongcun (Hongcun aju), di cui ho curato le coreografie. Ho tenuto cicli di conferenze all’Università di Pechino nella facoltà di scienze e di danza. E ancora, sono nate collaborazioni per programmare tournée con altri spettacoli, toccando spesso il Nord Europa, perciò Olanda e Germania. Nel 2018 Play è stato un mese in Olanda girando tutti i teatri più belli e più grandi, così come nel 2016 era stato a Rio de Janeiro in occasione delle Olimpiadi. Nel frattempo abbiamo fatto tournée anche con Eureka e prima ancora con Puzzle. Il nostro lavoro è sempre stato ben apprezzato e seguito.

Progetti futuri
Non mi precludo niente, a me piace creare e di conseguenza ho sempre la mente in ebollizione, con gli allievi dell’Accademia ho la possibilità di fare progetti molto belli e interessanti anche al di fuori del teatro. Conclusa la tournée di Play porteremo in scenda Eureka con due date, il 2 Marzo a Saronno Teatro Giuditta Pasta e il 9 Marzo a Ferrara Teatro Nuovo, e infine ci prepareremo per la tournée che ci sarà l’anno prossimo in Brasile, ad Ottobre, sempre con Eureka. Questo è lo zoccolo duro dei nostri spettacoli, poi in mezzo ci sono progetti di altro genere, che arrivano in modo inaspettato, come Sanremo.

La partecipazione a Sanremo
E’ stato un progetto davvero molto interessante e rischioso, perché sei sotto gli occhi di tutti. I ragazzi della Compagnia si sono messi a disposizione, con un palcoscenico come quello di Sanremo che “scottava” e su cui abbiamo potuto provare pochissimo, però ha funzionato molto bene. La collaborazione con Arisa e il suo staff è stata fantastica, ci siamo capite al volo. E’ stata una coreografia realizzata su commissione, però sono riuscita a trovare la chiave giusta, un musical che giocasse con l’ironia attraverso il mio modo di creare ma coinvolgendo anche Arisa. Tony Hadley è una persona di una carineria estrema. Quando sei davanti ad un vero artista te ne accorgi, perché ha veramente un atteggiamento di grande umiltà e disponibilità, non ha bisogno di dimostrare niente.

Teatro Carcano di Milano
Teatro Carcano di Milano

Kataklò Athletic Dance Theatre – PLAY

dal 13 al 17 febbraio 2019
Teatro Carcano di Milano

ORARI: mercoledì, giovedì e sabato ore 20,30 | venerdì ore 19,30 | domenica ore 16,0
Durata: 1 ora e 20 minuti + intervallo
BIGLIETTI: poltronissima € 34,00 | balconata € 25,00 | over 65 € 22,00/18,00/17,00/14,50 | under 26 € 15,00/13,50

Ideazione, direzione artistica, regia e coreografie Giulia Staccioli
Interpreti Compagnia Kataklò
Direttore tecnico Marco Farneti
Musiche Ajad
Produzione Kataklò Athletic Dance Theatre | Mito

www.teatrocarcano.com
www.kataklo.com

About Diana Cicognini

Diana. Dea cacciatrice! Il mio territorio è Milano, la mia preda l'Arte ... che racconto, scrivo, disegno e metto in mostra. Giornalista pubblicista, la mia Nikon mi accompagna sempre per testimoniare la bellezza e là dove il mio obiettivo fotografico non arriva...un grazie dichiarato ad artisti, gallerie ed uffici stampa che mi concedono "uno scatto" per le mie parole.

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