Michelangelo – Incontrare un artista universale

1564-2014 Michelangelo – Incontrare un artista universale, Roma, Musei Capitolini, dal 27 maggio al 14 settembre 2014, mostra a cura di Cristina Acidini, testo critico di Annarita Santilli.

Uno dei capolavori architettonici di Roma, Piazza del Campidoglio, è opera della riorganizzazione monumentale di Michelangelo, risalente al 1534-38. L’intero progetto,che prevedeva principalmente la sistemazione di Palazzo dei Conservatori, la costruzione di Palazzo Nuovo, la realizzazione dell’imponente scalinata e della geometrica pavimentazione, oltre che la collocazione centrale della statua equestre di Marco Aurelio, è stato completato solo dopo la sua morte.

Michelangelo torna virtualmente in Piazza del Campidoglio, con la mostra a lui dedicata ai Musei Capitolini, in occasione del 450° anniversario della sua morte, avvenuta nel 1564 proprio a Roma, in una piccola abitazione non lontano dalla piazza.

L’evento, curato da Cristina Acidini, Soprintendente per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze, e dagli storici dell’arte Elena Capretti e Sergio Risaliti, prosegue fino al 14 settembre.

Tenendo conto della difficoltà di organizzare un’esposizione dedicata al grande artista, dovute in primo luogo all’ impossibilità oggettiva di trasportare le sue opere, la rassegna di Roma costituisce la possibilità di ammirare dei veri capolavori, primi fra tutti quelli raccolti nella sala affrescata degli Orazi e Curiazi.

Ad aprire la mostra è il Cristo portacroce del 1514-16, conservato al Monastero di San Vincenzo Martire di Bassano Romano. Lo spettatore viene messo subito di fronte alla grandezza dell’artista, con un opera che è quasi un’apparizione: una manifestazione del divino che trionfa sulla morte in tutta la sua magnificenza e solennità e la cui luce costringe il visitatore a fermarsi. Il Cristo, figura possente appoggiata alla grande croce, si lascia ammirare, rivelando una forza e una grazia senza tempo, oltre il dato conoscibile e visibile dell’umana natura.

Ma non è questo motivo di appagamento per Michelangelo: durante la fase di ultimazione, il volto candido del Cristo rivela una naturale venatura del marmo che ne segna l’espressione, come ferita profonda. Per un linguaggio artistico il cui fine è stato da sempre il raggiungimento della bellezza, attraverso la forma classica e una ricerca spirituale eternamente attiva e viva, è davvero inaccettabile. Michelangelo realizza una seconda versione, il Cristo di Santa Maria sopra Minerva.

“Beati voi che su nel ciel godete

le lacrime che ’l mondo non ristora”

(Michelangelo, Rime)

Michelangelo, incline al tormento e alla ricerca della radice dell’esistenza, non conclusa in se stessa ma proiettata verso la sacralità, non poteva che inseguire, all’interno del blocco di marmo e non solo, la bramata perfezione. Pur nelle sembianze del mondo sensibile e corruttibile, il suo linguaggio alza lo sguardo in alto, verso la sfera del divino e della trascendenza.

Tuttavia le sue figure possenti esprimono una forte corporeità terrena, solida, manifestando una ricerca del profondo che si esprime a volte in brevi movimenti, spasmi trattenuti, silenziosa inquietudine. Come nel volgersi deciso del busto di Bruto del Museo Nazionale del Bargello di Firenze, opera del 1539, presente in mostra in un felice accostamento e confronto, tra lo splendido Bruto Capitolino e il Busto di Caracalla dei Musei Vaticani, dal quale l’artista ha probabilmente tratto ispirazione. Il busto, che richiama la statuaria imperiale, ha un’espressione intensa, propria del personaggio che vuole rappresentare. Ma la memoria classica, presenza costante nel linguaggio michelangiolesco, rivela una personalità e un volto propri di ogni spazio e di ogni tempo: il prototipo del tirannicida. Non l’espressività penetrante del Bruto Capitolino, che guarda fisso negli occhi lo spettatore, bensì un profilo scattante, rivelatore di un’intenzione. Il volto arguto e non levigato tradisce la drammaticità del “non finito”, che il Vasari attribuiva all’ insoddisfazione di Michelangelo, alla sua natura incontentabile e perfezionista e che Andrè Chastel, venendo al secolo scorso, ha definito “opera aperta”, accostandola all’ arte informale.

E il “non finito” include il concetto di infinito, uno spazio e un tempo non rappresentati, che rimanda, ancora una volta, all’ eterno e all’ universale.

Il percorso espositivo prosegue con una delle prime opere del Maestro, La Madonna della Scala del 1490 ca., capolavoro proveniente dal Museo Casa Buonarroti di Firenze, scolpito da un Michelangelo appena quindicenne. Bassorilievo di piccole dimensioni, memore dello schiacciato donatelliano, mostra una leggera successione di piani che raggiungono la profondità maggiore nel nucleo centrale, dove un ritroso Bambino mostra allo spettatore non il volto, bensì la schiena tornita, avvolto dalla protezione di una Madre maestosa, rigorosamente di profilo. Una Madre che non si concede al sentimento, ma domina e riduce la superficie, poco curante delle rigide regole prospettiche, nella sua immobile e severa classicità.

Difficile per lo spettatore lasciare la sala degli Orazi e Curiazi.

L’esposizione prosegue al piano superiore, con numerosi disegni, sculture, lettere e sonetti, calchi in gesso, studi di architettura e altre numerose testimonianze della prolifica ed eclettica attività del Maestro, come il Modello della facciata di San Lorenzo del 1518 ca., opera lignea conservata al Museo Casa Buonarroti.

Molti i disegni presenti in mostra, provenienti per la maggior parte dei casi dal British Museum di Londra, dal Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi e dalla Fondazione e Archivio Casa Buonarroti di Firenze.

Primi fra tutti, realizzati a matita rossa, Studi per la testa di Leda (1530 ca.), celebre testimonianza di un dipinto su tavola andato perduto e il Nudo di schiena per la Battaglia di Cascina (1504-05 ca.), dove linee sapientemente tratteggiate sottolineano ogni dettaglio muscolare del corpo maschile in movimento. E ancora, la Madonna con Bambino (1525 ca.) che, attraverso una tecnica mista di matita rossa e nera, biacca e inchiostro, presenta un infante dall’ anatomia morbida e allo stesso tempo definita, in un rapporto di fusione tecnica e non sentimentale tra madre e figlio. Altro importante disegno è lo Studio per la testa della Sibilla Cumana (1509-10 ca.) della Biblioteca Reale di Torino, a matita nera e tracce di biacca.

Tre i crocifissi lignei a confronto: quelli di indubbia attribuzione, quali il Crocifisso del Museo del Bargello e il Crocifisso del Louvre, affiancano il Crocifisso policromo di Santo Spirito a Firenze, del 1493 ca. Una rappresentazione del Cristo, quest’ultima, che è quasi una lirica. Un corpo affusolato e un volto armonioso, scevro da ogni sofferenza fisica, che nasconde il proprio dolore al mondo.

Presenti anche ottanta opere circa di artisti dell’epoca, come il Ritratto di Michelangelo del 1535 di Jacopino del Conte, proveniente dal Museo Casa Buonarroti o il grande disegno di Leda e il cigno, copia dal cartone michelangiolesco andato perduto, attribuito a Rosso Fiorentino e conservato alla Royal Academy of Arts di Londra.

L’arte di Michelangelo Buonarroti, scultore, pittore, architetto, poeta, muove da una ricerca sofferta di Dio, da un desiderio di pace interiore e di salvezza, che porta alla convivenza tra la dimensione spirituale e la natura materiale, al connubio tra il messaggio cristiano e la forma antica, tra sentimento trattenuto e forza plastica.

La mostra ai Musei Capitolini vuole rappresentare tutto questo, dalle prime esperienze di appena adolescente fino al linguaggio maturo, con il supporto delle testimonianze culturali del tempo. Ma non solo. Il genio michelangiolesco viene raccontato attraverso il concetto cardine della sua poetica: non il particolare, soggetto a interpretazione, allo stato d’animo, a mutazione, bensì il creato nella sua oggettività e dimensione universale.

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Un commento

  1. Il “non finito” è la caratteristica del genio. Come il “non luogo”, il “non nome”, il “non tempo”, ecc… L’astuto Ulisse crea un “non nome”, Nessuno, per ingannare Polifemo, e un “non luogo”, il cavallo di legno, per ingannare i troiani. Queste entità frutto di processi ricorsivi, giochi di specchi, sono state usate, anche da Gesù e Leonardo da Vinci. Michelangelo nella scultura, la sua arte preferita è ancora insuperato. Michelangelo uso “giochi di specchi” anche negli affreschi della Cappella Sistina, e per rimandi tra Volta e Giudizio. Cfr. Ebook (amazon) di Ravecca Massimo: Tre uomini un volto: Gesù, Leonardo e Michelangelo. Grazie.

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