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In conversazione con Jessica Carroll: scienza e arte in poetico dialogo

In occasione della presentazione presso la galleria BABS a Milano delle sue micro sculture, come ama definire i suoi gioielli d’artista, abbiamo incontrato l’artista Jessica Carroll; con lei abbiamo parlato della sua ricerca poetica e come questa si sia sviluppata nel corso del tempo.

Jessica Carroll, Arnia, ceramica

Nata a Roma nel 1961 dalla scrittrice Simona Mastrocinque (figlia del grande Camillo, regista, tra gli altri, di molti celebri film di Totò) e dall’artista americano Robert Carroll, Jessica, origini “napoletane-scozzesi” che ne fanno un mix formidabile di rigore e ironia, ha scelto Torino come patria di adozione e, più recentemente, Ivrea, sempre in cerca di un contatto con la Natura, nodale per il suo temperamento e per la sua arte. In questi trent’anni di lavoro Jessica, partendo dalla ricerca fotografica, è passata con fluidità al disegno, alle incisioni e infine alla scultura, che pratica con perizia, studio continuo e inesausta attitudine alla scoperta. Protagonista della sua poetica la Natura e le sue leggi, e la capacità di guardare alla scienza e alla materia con rigore e sincero afflato poetico. Un connubio, quello di scienza e arte, di grande forza e suggestione, che secondo l’artista permea l’esistenza umana, animale e minerale: un senso religioso, quasi francescano, di rispetto e contemplazione della Vita, che trascende ogni confessione.

Jessica Carroll, La nutrice, bronzo

Le abbiamo rivolto alcune domande: nella conversazione sono diventati capitoli di un racconto che l’artista – penna felice, artista completa anche nell’espressione verbale – snoda con grazia e soprattutto vive quotidianamente.

Puoi raccontarci come si situa la pratica della scultura nell’ambito della tua decennale ricerca e come si è evoluta nel tempo? Hai un materiale che prediligi?

Jessica Carroll, La via dei sargassi

 

LE MANI

Nella mia famiglia si festeggiava l’Epifania con delle calze ripiene appese al caminetto, l’anno prima l’avevo trovata e ci speravo: scartando velocemente dolcetti e giocattoli trovai un pacchetto di DAS ed esclamai  “La mia cretina!” Ho ricevuto in dono la capacità di fare con le mani, forse era nella calza. La mia ricerca creativa è basata sulla curiosità, curiosità di capire molte cose, fino, rare volte, ad arrivare alla corposa intuizione di qualche “senso”, a qualche inequivocabile approssimazione di esso. Il mio istinto è di divulgare questa bellezza ed essendo abile con le mani e appassionata nella cura dei particolari la scultura è diventata il mio linguaggio di elezione. Il mio apprendistato, essendo figlia di un pittore, è stato totalmente bidimensionale. Solo verso i trent’anni sono passata alla scultura, dalle parti di Carrara, trovavo formidabile inerpicarmi sui blocchi di marmo per sceglierne uno e finalmente potevo rivolgermi anima e corpo a qualcosa che destava tutta la mia ammirazione e curiosità: la Materia. L’approccio con il mondo del volume poi è stato esplosivo: finalmente ero libera di muovermi in ogni direzione. Da allora lavoro sempre direttamente con le mani, anche nei disegni. Un lato del mondo della scultura che mi ha anche appassionato è la necessità di mettere in ordine il caos, prendiamo ad esempio uno dei miei materiali preferiti: il marmo nero del Belgio, estratto dalle viscere della terra è il risultato del lavoro geologico di miliardi di anni, quando si comincia a sgrossare l’aspetto è brutto e grigiastro, la polvere nera che puzza di zolfo ed è anche un po’ unta si sparge ovunque, come se ci si trovasse in una miniera di carbone poi, pian piano, la forma si comincia a delineare e allora bisogna essere più delicati perché è vetroso, fino a che si può cominciare a scartavetrare, dal più grosso al più fine, senza lasciare graffi.

Jessica Carroll, Fase Trasparente

Quando la superficie è così lungamente accarezzata si passa alla lucidatura e il nero Belgio appare nel suo splendore nero lucido e vellutato. Anche quel morbidino del marmo statuario è meraviglioso, mi piace poi la cera d’api che mischiata in giuste proporzioni seguendo antiche ricette diventa duttile alle mie mani per poi essere fusa in bronzo, altro materiale prediletto; c’è poi il plexiglass trasparente (che somiglia al nero Belgio nella lavorazione) e la terra, intesa come creta. Nel disegno prediligo i gessetti, che vanno toccati con le mani, il pongo ed anche i segni bruciati sulla carta, sempre antica o fatta a mano. Le mani riescono a fare anche senza gli occhi o comunque gli occhi si usano in un modo diverso. Le mani sono la memoria.

Jessica Carroll, Hannukia

Qual è il tuo rapporto con la ricerca scientifica e come si declina nella tua opera?

LA FOTOSINTESI CLOROFILLIANA

Ammiro infinitamente gli scienziati e la ricerca scientifica, in particolare modo la Biologia o Scienza della Vita. Da ragazza mi iscrissi a Biologia, senza andare molto avanti però, solo pochi esami, ebbi paura di immettermi in un campo troppo specifico che mi avrebbe impedito di spaziare se non dopo molti anni di esperimenti con le cavie chiusa nei laboratori.

Jessica Carroll, Alveare, bronzo

Sono una studiosa ed ho avuto anche la fortuna di girare luoghi di natura di mezzo mondo in compagnia di scienziati e guardaboschi, anche ora sono tornata a vivere in mezzo alla natura, sopra a Ivrea, e tengo un libro di bordo sugli avvistamenti. Nel mio lavoro applico sempre il metodo dell’amplificazione, vale a dire assumere quante più possibile informazioni su un dato soggetto per fornire alla mia mente, o forse al mio cuore, materiale da assorbire per poi, a dio piacendo, far emergere delle immagini. Nel campo scientifico sono stata indelebilmente influenzata da alcune letture che, guarda caso , si riferivano sempre ad un determinato luogo, Ascona e ai convegni di Eranos, come Adolf Portmann; Eranos, che significa “luogo di incontro” è stato un meraviglioso progetto, durato molti anni, dove artisti, scienziati di molte discipline  e grandi esperti di vari settori, si incontravano per dei convegni con conseguenti pubblicazioni, quest’idea coincide particolarmente con il fatto di essere un’artista appassionata di scienza e di osservazione, non solo della natura ma , se si può dire, della Realtà. Prediligo, quando tratto argomenti scientifici, tutto ciò che non si riesce veramente a spiegare con il metodo scientifico, ciò che sfugge all’inquadramento e di fronte a cui al massimo si può chinare il capo” mesmerized”: la fotosintesi clorofilliana, i comportamenti migratori, le strategie di difesa, l’apparire stesso, la vita delle api e le loro lingue grafiche di comunicazione, la bellezza e la perfezione delle creature viventi, parlo molto di loro ma non solo. Continuo a pensare che  l’osservazione ravvicinata di un essere vivente diverso dall’uomo, o anche minerale, possa contribuire ad una riflessione generale dell’animale uomo, lo stupore di fronte all’infinita grazia, dolcezza e bellezza di ciò che è.   Inoltre credo che una maggiore connessione fra scienza e arte potrebbe essere utile. Tutto dovrebbe essere più permeabile come è la realtà. La compensazione di questo atteggiamento – per me molto spirituale – si compie appunto nell’avere a che fare con la Materia che, come diceva Brancusi, è quella cosa in cui l’artista non trova nessuna grazia. Ma che insegna le leggi della Natura.

Jessica Carroll, Panchina Alveare, dettaglio

 

Puoi parlarci di una o più opere per te particolarmente rappresentative del percorso compiuto fino ad oggi?

 LE MIE CREATURE

Tutte amate, fra queste il primo alveare sferico fatto con la cera d’api cercando di farlo come un’ape e poi fuso in bronzo, tutte le piccole api fatte di cera e anche loro poi di bronzo. La nutrice, in marmo e in bracciale di bronzo. Gli Ottovolanti, che sono la rappresentazione spaziale della danza a otto che fanno le api per comunicare, il  primo è stato l’Hannukia che si trova nel Museo dei Lumi di Casale Monferrato. Le cassette arnie, che sono uno studio sui colori preferiti dalle api (che comunque preferiscono il blu). Le tante “cince” dipinte a tempera e disegnate da ragazza. Tutte le danze di allarme a zig zag che fanno le api in pericolo, fra cui un’ultima collana in bronzo. I Tredici Modi di Vedere un Merlo di marmo nero del Belgio, ispirato nel titolo ad una poesia di Wallace Stevens che tratta i tredici ed infiniti modi di percepire la realtà. Il cannocchiale “Desiderio” trasparente per vedere nel passato e in trasparenza in cui nell’ultima versione attraverso un’ottica si vede una cellula verde della fotosintesi, per cui il cannocchiale ha preso il nome di Fase Trasparente. Le fasi opache e fasi trasparenti delle anguille che migrano e mutano. Il pesce di bronzo Terra Promessa. E la Panchina Alveare, sempre da posizionare in luoghi incantati per sedersi, leggere, pensare o far nulla.

Jessica Carroll, Panchina Alveare

About Paola Stroppiana

Paola Stroppiana (Torino, 1974) è storica dell’arte, curatrice d’arte indipendente e organizzatrice di eventi. Si è laureata con lode in Storia dell’Arte Medioevale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino, città dove ha gestito per più di dieci anni una galleria d'arte contemporanea. Collabora con diverse testate per cui scrive di arte e cultura. Si interessa a nuovi percorsi d’indagine come il gioiello d’artista e le ultime tendenze del collezionismo contemporaneo, argomenti sui quali ha tenuto conferenze presso l’Università degli Studi Aldo Moro di Bari, Il Museo Civico di Arte Antica e la Pinacoteca Agnelli di Torino, il Politecnico di Milano.

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