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Intervista a Pablo Mesa Capella: la Natura come Palcoscenico

Pablo Mesa Capella, spagnolo di Malaga, torinese di adozione, è un artista che ha nella poliedricità un elemento di naturale distinzione. In questa intervista ci racconta la poetica della sua ricerca.

Pablo Mesa Capella nel suo studio

Pablo nasce come scenografo e regista teatrale e le sue opere ben declinano questa sua competenza in una costante aspirazione alla tridimensionalità nello spazio, fra scultura e installazione, rappresentazione e simbolo; nel suo percorso creativo, ricco di esperienze performative e progetti di indubbia originalità, si delinea un destino preciso, una vocazione che lo conduce, quasi malgrado se stesso, a confrontarsi e ad indagare la natura delle cose, a fonderne l’aspetto estetico e simbolico per interpretarle in un contesto preciso che diventa immediatamente palcoscenico. Tra le sue opere più conosciute le campane di vetro da Wunderkammer (poi confluite in mostre personali e collettive di grande successo, tra le quali “Natura onirica – La memoria degli oggetti”) che cristallizzano la composizione dell’artista-demiurgo e rimandano ad un certo gusto ottocentesco per animali impagliati, conchiglie, fiori di cera.

Natura Onirica. La memoria degli oggetti, 2017

In esse, con notevole senso della composizione, prendono forma paesaggi onirici e surreali: gli elementi, avvolti da un’atmosfera da favola, provengono dal mondo della natura e si confondono con foto d’epoca ma anche foto contemporanee, legati tra un loro da un fil rouge (anche fisicamente presente). L’esito è un rovesciamento delle prospettive della memoria, con l’obbiettivo di condurre lo spettatore in una nuova dimensione evocata proprio dall’unione tra gli oggetti e alle possibili narrazioni che ne scaturiscono.

Incontriamo Pablo nella sua casa studio, uno scenario fantastico anche negli elementi del quotidiano, dove l’uomo e l’artista convivono in (apparente) armonia. Dalle piante essiccate e meticolosamente raccolte (ma anche pietre, terra, rami) si intuisce un accumulatore seriale di natura, suggestioni, memorie che usa come mirabolante materiale per le sue opere, a metà tra un botanico e un regista che osserva le trasformazioni, e le mette in scena come metafore per lo spettatore: horror vacui naturale di sicura vertigine.Un sinuoso accento spagnolo scalda il suo fluente italiano e fa partire inevitabilmente il discorso dalle origini, che in fondo è sempre un prezioso indizio per meglio comprendere l’oggi.

Pablo, quali i tuoi inizi?

Sono nato a Malaga, città natale di Pablo Picasso: un piccolo centro della Spagna più profonda permeato da una cultura barocca e da un senso religioso radicato e avvolgente. Picasso è rimasto a Malaga fino ai 12 anni quando si è trasferito a Barcellona per proseguire gli studi: suo padre era un insegnante d’arte e lo ha educato al disegno e alla pittura. Nell’immaginario collettivo della città è senz’altro un eroe. Io mi sono laureato in Regia Scenica e Drammaturgia all’Accademia, ho avuto qualche esperienza di regia teatrale e poi mi sono laureato anche in Scienza della Comunicazione, corso di studi che ho completato a Roma con una borsa Erasmus. A Roma ho continuato grazie al Programma Leonardo e ho collaborato con diverse gallerie come assistente, entrando in contatto con artisti, critici galleristi, persone che mi hanno supportato nella mia idea di misurarmi con la mia personale creatività.

Qui sono nati i primi lavori?

Nel 2013 sono entrato in contatto con il comitato curatoriale Sguardo contemporaneo presso il Pastificio Cerere, e con loro ho realizzato il progetto “Cartes de visite. Sensitive material”, a metà tra la performance e l’installazione: ho tappezzato letteralmente tutto il cortile del Pastificio con centinaia di fotografie stampate su cartoncino di primo novecento (una via di mezzo tra il dagherrotipo e la fotografia moderna) che avevo raccolto nei mesi precedenti rovistando tra i robivecchi. Per questo progetto ho coinvolto tutto il quartiere di San Lorenzo intervistando alcuni residenti che mi hanno donato le loro personali fotografie; il progetto è diventato un’installazione itinerante perché ho dislocato alcune immagini per il quartiere: grazie ad un’app potevi ascoltarne la storia e ricostruire la vita di coloro che avevano abitato quei luoghi.

Continuavi in fondo ad essere regista dei tuoi lavori…

Ho una predilezione per le installazioni effimere, proprio come fossero spettacoli teatrali, perché creano situazioni che coinvolgono il pubblico in un tempo preciso e questo crea delle dinamiche narrative interessanti. In seguito ho desiderato confrontarmi anche con l’opera d’arte “compiuta” ed è nato il progetto delle campane di vetro, costruite tuttavia proprio come piccoli palcoscenici singoli: sono tutte pezzi unici, alcune le realizzo anche su committenza privata partendo dalle personali foto di famiglia. Nelle campane certamente ritornano i miei studi di scenografia e storia del teatro, storia dell’arte, regia… Sono affascinato dall’esagerazione dal kitch, concetti da esprimere in modo sottile sempre sul filo dell’ambiguità.

Poi ti sei trasferito a Torino…

Dopo cinque anni avevo bisogno di nuovi stimoli, sono tornato in Spagna, ho realizzato l’installazione Aqua Botanica al Centre Pompidou di Malaga e altre esperienze interessanti ma mi mancava l’Italia: volevo tuttavia misurarmi con una città diversa, conoscevo Torino per la sua fama di centro importante per l’arte contemporanea e qui vivo ormai da alcuni anni.

Hai trovato l’attenzione e gli stimoli che cercavi?

A Torino ho conosciuto il gallerista Riccardo Costantini: ho esposte le mie opere in una mostra collettiva sul concetto della memoria e tramite lui ho incontrato Marco Albeltaro della galleria GSF con cui attualmente collaboro. Grazie a Riccardo ho collaborato con il progetto Art of Excellence, manifestazione che permette agli artisti di collaborare con le imprese; attraverso questo canale sono entrato in contatto con l’agenzia di comunicazione Gloebb&Metzger di Torino. I titolari mi hanno chiesto di realizzare una nuova versione di Aqua Botanica nei loro spazi in occasione dei 10 anni della loro attività. Aqua Botanica è un’installazione “effimera”, realizzata con una moltitudine di piccoli sacchetti trasparenti in acqua che contengono fiori e foglie di molte piante diverse da me raccolte nel tempo e che naturalmente nel tempo si trasformano; una installazione complessa che avevo già realizzato a Roma nel 2014 e al Centre Pompidou di Malaga, dove ero riuscito anche a coinvolgere attivamente il pubblico.

Aqua Botanica, 2014

Ti manca il teatro?

Si, anche se il ruolo da regista è molto complesso e stressante perché prevede un coinvolgimento di molte persone, non solo gli attori, e in tempi molto serrati. Nelle installazioni delle campane ci sono però molti personaggi che ritaglio dalle fotografie e che archivio tutti, in fondo sono gli attori delle mie opere!

Quali sono le tue fonti di ispirazione?

Da sempre ho un grande interesse per ogni forma di Bellezza e per le emozioni che da essa scaturiscono, ma non ho nessun interesse a dirlo in maniera comune, desidero trovare modi alternativi, imprevedibili. Un altro argomento che mi sta molto a cuore è il concetto di “memoria”, che è intrinseca in ognuno di noi; la memoria avvolge ogni mio lavoro, è la mia stessa esperienza esistenziale: si vede nel mio rapporto con i materiali, con essi ho sempre avuto un atteggiamento di curiosità, scoperta, indagine. Da queste ricerche nascono espressioni poetiche surreali, di matrice onirica, fantastica. Ultimamente mi confronto anche con tematiche sociali, come quelle che ho sviluppato nelle mostre in collaborazione con GSF.

You make me feel, You make me fear, 2019; My War, Your War, make…, 2019

Ce ne puoi parlare?

Sono una serie di opere che riflettono sul valore sociale e politico delle simbologie, come la Bandiera dell’Europa rivista come un manifesto poetico o un Golem di tre e metri e mezzo in permanenza presso il BoCs Art Museum di Cosenza. Ho inoltre esposto da GSF un trittico installativo che riflette sulle religioni monoteiste, sui confini tra le culture e sul rapporto che ciascuno di noi ha con i simboli religiosi, tanto è vero che prevedono una certa cura da parte del collezionista, non senza una certa ironia di fondo. Politica e ironia, denuncia e bellezza diventano strumenti di ricerca che possono farsi interpreti del nostro vivere quotidiano, del nostro Tempo.

Deus ex machina, 2013

 

Quale la tua ricerca oggi?

Sto realizzando nuovi paesaggi onirici: quasi una nostalgia del futuro, una riflessione sull’immaginario che la nostra cultura ha dei viaggi interstellari, della vita su altri pianeti, l’idea che ci restituiscono i film, le immagini dei satelliti. Li sto ricreando con l’immaginazione con materiali naturali che recuperano pazientemente nel tempo, un esercizio che mi impone una certa disciplina e costanza, parte attiva di questo progetto.

Una idea su Marte, 2019

 

La Natura torna dunque con insistenza nei tuoi lavori…

Naturale e artificiale sono facce della stessa medaglia. Nel 2014 ho realizzato l’installazione Innesti nel casale dei Doria Pamphili fuori Roma: ho cucito gli agrumi all’albero, creando un falso più vero del vero: ecco, per me è importante raccontare una storia partendo da una sorpresa visiva, una soluzione estetica che diventi narrazione, e in questo la Natura mi fornisce spunti straordinari: su di essa innesto suggestioni letterarie, politiche, religiose, sociali del mio vissuto e dell’ età contemporanea.

Il Paradiso, 2018

Vorrei che la mia ricerca fosse percepita come Arte che parla del proprio Tempo, che sia radicata in esso e che allo stesso tempo sia espressione di un linguaggio universale grazie ai codici che la Natura può offrire e che diventano dispositivi poetici di grande intensità.

Pablo Mesa Capella

 

 

About Paola Stroppiana

Paola Stroppiana (Torino, 1974) è storica dell’arte, curatrice d’arte indipendente e organizzatrice di eventi. Si è laureata con lode in Storia dell’Arte Medioevale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino, città dove ha gestito per più di dieci anni una galleria d'arte contemporanea. Collabora con diverse testate per cui scrive di arte e cultura. Si interessa a nuovi percorsi d’indagine come il gioiello d’artista e le ultime tendenze del collezionismo contemporaneo, argomenti sui quali ha tenuto conferenze presso l’Università degli Studi Aldo Moro di Bari, Il Museo Civico di Arte Antica e la Pinacoteca Agnelli di Torino, il Politecnico di Milano.

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