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Il violinista sul tetto, il musical di Moni Ovadia

Il violinista sul tetto è la commedia musicale tratta da un racconto di Sholem Aleichem, celebre scrittore di origine ebraica, che Moni Ovadia riporta al Teatro Nuovo di Milano dal 22 Febbraio al 10 Marzo.

Il violinista sul tetto è un musical sull’esilio, sul rapporto con Dio, sul cuore di un padre. Moni Ovadia è l’interprete principale di una storia divertente.  Il suo protagonista è un lattivendolo, attaccato ai precetti religiosi e alle tradizioni ebraiche del suo villaggio nella Russia zarista dei primi del Novecento, padre di cinque figlie, tre in età da marito. Rocambolesche situazioni e solitari monologhi con Dio punteggiano la trama di questo racconto in musica.

Moni Ovadia firma la regia della prima e unica versione italiana di un capolavoro assoluto del teatro musicale di Broadway rappresentato in tutto il mondo. Lo spettacolo è l’essenza stessa del lavoro di una vita dedicata a far conoscere e non dimenticare la cultura musicale e teatrale Yiddish.

Il violinista sul tetto ha tutti gli ingredienti per coinvolgere il pubblico:
i testi, resi più chiari e accattivanti da Elisa Savi aiuto regista di Moni; la musica e i musicisti stessi, che in scena recitano insieme agli attori; il canto, con la partecipazione del cantautore Mario Incudine e della sua voce unica nel ruolo del rivoluzionario Percik; le canzoni in Yiddish introdotte da poche parole per comprenderne il significato, senza nulla togliere alla musicalità della lingua che ci restituisce le atmosfere e il contesto della storia; le danze improvvisate dei musicisti-attori; gli allegri costumi multicolore ispirati dalle opere di Chagall.

Moni Ovadia insieme a Mario Incudine ed Elisa Savi ci racconteranno perché non perdere questo spettacolo. Caldamente consigliato anche a chi ha visto la prima edizione del 2003.

Moni Ovadia
Credo che ogni settimana o mese Il violinista sul tetto venga messo in scena in qualche parte del mondo. Le musiche originali di Jerry Boch sono veramente straordinarie ed anche i testi, dove c’è la celebrazione della vita e delle relazioni umane. Ha avuto un successo planetario, non così in Italia. La storia, molto semplice, viene da un racconto breve dal titolo “Tobia il lattivendolo” del più celebre scrittore in lingua Yiddish: Sholem Aleichem.  E’ l’affresco di un mondo popolare legato alle sue tradizioni, ai precetti religiosi ma anche alle superstizioni. Tobia è una figura molto particolare in costante dialogo con Dio, ama fare citazioni dalla Bibbia che sbaglia sistematicamente.

Questo musical è una storia di esilio. Racconta di un popolo che vive a cavallo dei confini e che viene cacciato continuamente, di gente che ricostruisce tutto ogni volta e che celebra la condizione dell’esilio. Un villaggio del centro-est Europa diventa una piccola patria leggendaria.  All’epopea di questo popolo e alla sua lingua, l’Yiddish, io ho dedicato la gran parte della mia vita. L’Yiddish è un insieme di lingue diverse dove anche le regole della grammatica si mescolano.

Il musical originariamente nasce in inglese, noi invece abbiamo voluto fare un’operazione di adattamento particolare. I testi sono in italiano e le canzoni, invece, in Yiddish, per mantenere viva una lingua così straordinaria, che ha prodotto musicalità e canzoni di una bellezza inenarrabile. Ma c’è un’altra ragione, questa lingua appartiene ad un popolo che è stato cancellato dal cuore d’Europa nello spazio di un mattino. I contesti in cui questa lingua è fiorita non esistono più. Con questa operazione vogliamo mantenerne viva la memoria ogni volta che andiamo in scena.

In questa seconda edizione c’è qualcosa per me di straordinariamente importante. Il riallestimento dello spettacolo vede dei cambiamenti significativi, senza stravolgere l’idea originale. Il musical sarà più comprensibile per il pubblico italiano, perché abbiamo scelto di aggiungere piccole indicazioni, che in una battuta sintetizzino il contenuto della canzone che viene cantata.

Un altro cambiamento, che per me ha un valore particolare, riguarda il cast. Ci sono 6 nuovi attori, tutti siciliani. Li ho incontrati in occasione della messa in scena delle Supplici di Eschilo, che avevo deciso di fare in greco moderno e, grazie al contributo di Mario Incudine, in ottava rima siciliana. E’ da questa collaborazione che è nato il nostro sodalizio artistico e umano. E così è stato anche con gli altri attori siciliani che ho coinvolto. In loro ho trovato insieme talento, passione e disciplina. Devo dire che oggi considero questi attori la mia famiglia teatrale.

Infine, in questa edizione ho coinvolto nella regia Elisa Savi, mia moglie, che in questi 24 anni ha seguito tutti i miei lavori teatrali. Ha dimostrato il suo talento nel gestire lo spazio e la presenza nello spazio degli attori. Io voglio progressivamente iniziare a dedicarmi solo al concept di uno spettacolo, per concentrarmi sul progetto poetico e teorico. Credo nello spettacolo di creazione e meno a quello di regia. Ognuno ha le sue sensibilità.

 

Mario incudine
Lavoro con Moni Ovadi da quattro anni. Moni ha scritto una nota introduttiva al mio disco dedicato alle migrazioni di ieri e di oggi, mi ha poi coinvolto nelle Supplici di Eschilo e da lì sono nate molte altre collaborazioni come Il Casellante di Andrea Camilleri, Liolà di Pirandello in una versione completamente rivisitata, e ancora Anime migranti.  Faremo un concerto sui canti di Anime Migranti con l’Orchestra della Magna Grecia.

Sono veramente commosso perché per me si realizza un sogno, quello di fare insieme al mio maestro una sua opera, con la sua grammatica e la sua etica. Il nostro è un sodalizio che si è rafforzato ed è diventato molto più umano che artistico. C’è una sorta di passaggio del testimone tra noi e io ho il privilegio di prendere sulle mie spalle questo pezzo della sua arte.
Il mondo che porteremo in scena con Il violinista sul tetto è un mondo tradizionale, che richiama quello che io e gli altri artisti siciliani abbiamo vissuto nella nostra cultura siciliana. Molti sono i punti di contatto nel culto, nella letteratura, nell’estetica tra le due culture, Yiddish e Siciliana.

 

Elisa Savi, costumista e aiuto regista…  “all’occorrenza scenografa”
Sono felice di questo nuovo inizio nella regia. L’intenzione dello spettacolo è di riportare attraverso tutte le leve del teatro, musica – recitazione – costumi – passi di danza, questo mondo che non esiste più. E’ un musical che restituisce anche un clima culturale, che io ho interpretato in modo personale.

Le ricerche per la creazione dei costumi mi hanno portato a constatare che, in tutte le versioni dello spettacolo messe in scena nelle varie città del mondo, i costumi si rifacevano in maniera naturalistica alla realtà di quel mondo. Un mondo molto povero e incolore, per il paesaggio in cui era immerso e per l’uso di quegli abiti dai colori grigio, marrone, beige che venivano passati di generazione in generazione.

Io non sono una costumista naturalista, non mi piace seguire la realtà, ma soprattutto è il genere del musical che non si adatta a questo. Nel musical ci sono delle persone che raccontano la loro vita cantando e ballando, spesso in scene in cui la realtà è deformata e trasfigurata. Il colore irrompe nel musical già nel passato dei musical hollywoodiani.

Da qui ha iniziato a formarsi l’idea, grazie anche al pensiero rivolto a quell’artista che, a questo mondo incolore, agli ebrei, ha invece regalato una tavolozza infinita di colori: Marc Chagall. Ha riprodotto quel mondo per come lo sentiva, per come lo immaginava. Era la spiritualità ebraica che Chagall ha colorato. Questa è stata la scintilla da cui sono nati i costumi che ho deciso di portare in scena. Nei nostri bozzetti, una cinquantina di disegni realizzati dopo aver studiato per un mese, abbiamo ridisegnato Chagall per quello che ci ha trasmesso. Di questi disegni abbiamo realizzato dei quadri in serigrafia poi stampati nelle diverse varianti di colore. Abbiamo quindi realizzato i costumi di una estrema semplicità costruttiva. L’elaborazione è affidata tutta alla ricerca cromatica. In scena ci sono centoventi varianti di colore in diverse sfumature. Sono arrivata a costruire un curioso albero genealogico di forme e  colori, che caratterizza i genitori con fantasie poi riprese dalle figlie che le trasmettono a loro volta nel colore ai fidanzati. Non mi interessava che tutto questo saltasse all’occhio o fosse compreso, volevo che si creasse un tappeto di messaggi subliminali e penso che alla fine vengano percepiti.


IL VIOLINISTA SUL TETTO
dal 22 febbraio al 10 marzo
TEATRO NUOVO DI MILANO

Orari: da Martedì a Domenica ore 20.45, Sabato 23 e Domenica ore 15.30

Diretto da MONI OVADIA
Con Moni Ovadia
e la partecipazione di Mario Incudine nel ruolo di Percik

Versione italiana dell’originale di Broadway “Fiddler on the roof”
Liberamente tratto dal racconto “Tevye il lattivendolo” di Sholem Aleichem
Libretto di Joseph Stein
Musiche originali di Jerry Boch
Testi delle canzoni di Sheldon Harnick
Traduzione in yiddish di Marisa Romano

Regia Moni Ovadia

www.teatronuovo.it
www.moniovadia.net


Teatro Nuovo

PERSONAGGI E INTERPRETI
Tevye Moni Ovadia
Golde Lee Colbert
Motl Kamzoyl Giampaolo Romania
Leyzer Wolf Giuseppe Ranoia
Fiedka Alberto Malanchino
Yente, Nonna Zeytl, Frume Sore Sabrina Sproviero
Zeytl Chiara Seminara
Hodl Aurora Cimino
Have Graziana Lo Brutto

Ballerini: Luigi Allocca, Vincenzo Castelluccio, Francesco Coccia, Eus Santucci

e con la MoniOvadiaStage Orchestra.

Regista collaboratore: Elisa Savi
Coreografie: Elisabeth Boeke
Scene: Gianni Carluccio
Costumi: Elisa Savi

Light designer: Amilcare Canali
Coordinamento musicale: Paolo Rocca e Vincenzo Pasquariello
Direzione vocale: Lee Colbert
Sound designer: Mauro Pagiaro

Prodotto da Lorenzo Vitali

Foto di scena Maurizio Buscarino

About Diana Cicognini

Diana. Dea cacciatrice! Il mio territorio è Milano, la mia preda l'Arte ... che racconto, scrivo, disegno e metto in mostra. Giornalista pubblicista, la mia Nikon mi accompagna sempre per testimoniare la bellezza e là dove il mio obiettivo fotografico non arriva...un grazie dichiarato ad artisti, gallerie ed uffici stampa che mi concedono "uno scatto" per le mie parole.

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