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Il “caso” Oscar Ghiglia allo Spazio Ersel: uno classico modernissimo nella pittura del ‘900.

Oscar Ghiglia, il gomitolo rosso

Sarà possibile ammirare fino a fine febbraio presso lo Spazio Ersel di Piazza Solferino la mostra Ghiglia Classico & Moderno, a cura della Fondazione Matteucci per l’Arte di Viareggio.

E’ Paola Giubergia in persona, responsabile delle relazioni esterne del Gruppo Ersel e figlia del compianto Renzo Giubergia, ad accompagnarci in scoperta, o meglio sarebbe dire, alla doverosa riscoperta di un artista come Oscar Ghiglia (Livorno, 23 agosto 1876 – Firenze, 14 giugno 1945), la cui straordinaria perizia tecnica e acuta sensibilità, magistralmente espressa in vividi ritratti di fine indagine psicologica e strepitose nature morte di pura invenzione, è difficilmente equiparabile alla pittura coeva, assolutamente non collocabile in una precisa corrente stilistica.

Quella di Ghiglia è un’arte colta, originale, in grado di assimilare le lezioni del passato (dalla pittura del Quattrocento alla scultura cinquecentesca, sino a Fattori) e le suggestioni del presente (la pittura giapponese, i Nabis, Cézanne). L’esito è un lessico inedito per il suo tempo, che è diventato la sua cifra stilistica e che lo ha reso difficile da contestualizzare: amato dai collezionisti privati, l’artista livornese fu sottoposto dalla critica ad una damnatio memoria per un errato collegamento con la pittura di regime (giudizio in parte influenzato dall’appoggio di Ugo Ojetti), fatto che non solo non risponde al vero, ma che per contrasto permette di notare come la pittura di Ghiglia sia profondamente precorritrice, così moderna da non poter essere immediatamente collocabile e certamente non all’inizio del XX secolo, equidistante dal Futurismo come da un pedissequa ripresa della pittura dell’Ottocento.

Oscar Ghiglia, il gomitolo rosso

Di fronte alle sue opere (anche quelle datate entro gli anni ‘10) si è tentati di pensare ad un contesto temporale che dal ventennio giunge sino agli anni ’40: una diacronicità imputabile ad un senso di modernità fondato sulla tradizione, una sorta di “realismo magico” ante litteram rispetto ad un Donghi o ad un Casorati, che come lui (ma diversi decenni dopo) fu influenzato dallo stile dei Nabis, visti in occasione della sua partecipazione alla Biennale di Venezia del 1905, in particolare dagli interni borgesi di Félix Valloton. Non sembra dunque un caso che Papini, con felice intuizione, lo abbia definito “uno dei giovani artisti italiani dai quali si possa sperare qualcosa di così antico da sembrare nuovissimo”. Celebre poi la sua amicizia con Amedeo Modigliani, con cui divise lo studio negli anni giovanili e che ebbe a dire, come riferito da Anselmo Bucci nei “Ricordi parigini” (1931), “In Italia non c’è nulla, sono stato dappertutto. Non c’è pittura che valga. Sono stato a Venezia, negli studi. In Italia, c’è Ghiglia. C’è Oscar Ghiglia e basta”. Un endorsement che getta una luce nuova su alcune opere di Ghiglia come il Nudo o il ritratto dell’amico pittore Llewelyn Lloyd del 1907, da rileggere in comparazione con alcune soluzioni formali di Modigliani nelle quali sono visibili le medesime suggestioni (come la capacità di dividere le zone di colore in campiture nette) della comune formazione nella Livorno di fine Ottocento.

Oscar Ghiglia, La Signora Ojetti nel roseto

 

Paola Giubergia, come è nata questa mostra?

Abbiamo accolto con entusiasmo la mostra organizzata dalla Fondazione Matteucci che ha svolto un ottimo lavoro di ricerca su questo grande artista livornese. Sono circa 48 opere di cui si ammirano soprattutto i ritratti e le nature morte. Lo chiamavano “il pittore del rosso” per l’acceso cromatismo dei ritratti, nei quali si apprezza soprattutto la finezza dell’indagine psicologica sui volti. Un artista che all’epoca fu poco compreso e che fu riscoperto soprattutto grazie al collezionismo privato, che per primo ne colse la qualità pittorica e la inusuale capacità di coniugare cultura classica e visione contemporanea. Nel catalogo che accompagna la mostra sono riportati gli epistolari che ci restituiscono lo spaccato di una vita certo non facile da un punto di vista economico, ma ricca di incontri anche grazie alla moglie, che fu in grado di attivare una committenza di ottimo livello. Un artista schivo e introverso ma stilisticamente molto avanti rispetto al suo tempo e per questo forse meno compreso.

Oscar Ghiglia, Ugo Ojetti nello studio

 

Lo Spazio Ersel si è ritagliato un ruolo di assoluto prestigio nell’ambito degli appuntamenti espositivi della città. Come selezionate i progetti espositivi?

Sono 16 anni che organizziamo mostre nel nostro spazio, circa quattro all’anno, da quando l’Ersel si è spostata in Piazza Solferino: queste sale ci sembravano adatte per concerti e eventi. La prima mostra è nata per caso, in seguito ad un bell’incontro: nel 2003, grazie ad amici comuni, conosco Tullio Pericoli e gli chiedo di inaugurare lo spazio con una sua personale: è stata un grande successo e l’inizio di una programmazione intensa, che non si è più fermata. Le nostre mostre nascono per “affinità elettive”, incontri, suggestioni, ma il discrimine deve essere sempre e solo l’estrema qualità del progetto. Ricordo anche una mostra bellissima realizzata con 11 opere monumentali di Javier Marin al Parco del Valentino: una sua scultura è oggi in permanenza in Piazza Solferino.

Javier Marin, Piazza Solferino, Torino

Sono poi particolarmente fiera di due mostre che abbiamo prodotto e curato io e Chiara Massimello, mostre che univano arte classica e contemporanea e che avevano come tema il colore bianco e il colore rosso: molti collezionisti privati hanno dimostrato piena fiducia nei nostri confronti, prestandoci delle opere importantissime per un risultato di grande qualità. Tra i progetti futuri e i miei “desiderata” c’è una collaborazione con il Mast della Fondazione Seragnoli che ha una ricchissima collezione di fotografia industriale, raramente esposta al di fuori dei loro spazi e che mi piacerebbe esporre qui a Torino.

Oscar Ghiglia, Tavola imbandita, 1908

La sua opera preferita di Ghiglia ?

Sono due, La tavola imbandita del 1908 (già apprezzata dal collezionista Giovanni Sforni che l’acquistò e fu mecenate dell’artista) e la raffinatissima Stampa giapponese del 1927 per l’uso della luce, la carnosità dei fiori, l’eleganza delle stoffe e dei motivi ornamentali.

 

Giuliano Matteucci, Direttore della Fondazione Matteucci per l’Arte Moderna:

La Fondazione Matteucci gestisce una collezione di opere fra Otto e Novecento e una parte delle opere di Ghiglia proviene da questo nucleo, una parte altrettanto consistente proviene da collezioni private: il dato interessante è che molte di esse non erano più viste da tempo, come l’Autoritratto o la natura morta dedicata alla rivista fiorentina “La Voce”. Un artista straordinario di cui si apprezza anche la capacità di rendere la plasticità del bianco in senso cinquecentesco, in assonanza con alcune soluzioni michelangiolesche,

Siamo quindi particolarmente felici di avere occasione di celebrare nuovamente Oscar Ghiglia a distanza di un ventennio dalle due grandi mostre monografiche tenutesi a Prato e Firenze nel 1996. La selezione di dipinti della mostra è stata attuata seguendo un criterio filologico e temporale che ha privilegiato il riscontro con testimonianze contemporanee e documenti privati; molti di essi risalgono al suo primo periodo di attività, da leggersi come la risposta di un autodidatta di grande talento all’onda delle avanguardie. Tra le soprese il Nudo disteso (di cui si conserva solo un frammento),  il celebre autoritratto che ha segnato il debutto del pittore alla Biennale del 1901, il bel ritratto della moglie Isa Morandini, i due coniagi Ojetti (ripresi nello studio e nel roseto) e infine la straordinaria La camicia bianca, sintesi esemplare del suo essere classico e moderno, con chiari riferimenti alla pittura e alla statuaria cinquecentesca, così come il fondo piatto, senza ombre, rimanda alla pittura di Piero Della Francesca.

Oscar Ghiglia, Ritratto di Llewelyn Lloyd

Come giustamente nota Vincenzo Farinelli nel testo in catalogo che accompagna la mostra: […]  In questo caso lo sguardo di Ghiglia si è appuntato su una lunetta della volta della Cappella Sistina…Se il taglio a mezzo busto dell’immagine, con quella camicia bianca abbagliante  di luce parrebbe dipendere[…] da una celebre stampa di Utamaro (Pettinando i capelli, dalla serie Dieci studi di tipi femminili 1802-1803) dove una discinta cortigiana, una delle principesse recluse nello Yoshivara, sta spazzando lentamente i lunghi e seducenti capelli neri, il gomito buca la tela, puntando verso lo spettatore , proprio come il gomito della moglie di Aminabad. […] Della figura di Michelangelo, completamente ripensata da Ghiglia, è rimasta la lezione della monumentalità plastica: una monumentalità che sopravvive pur nella resa sintetica del colore.

 

Ghiglia però fu anche critico…

Ghiglia fu un intellettuale raffinato e autore di un testo fondamentale su Giovanni Fattori; quest’ultimo morì nel 1908, nel 1913 uscì una fondamentale monografia in tiratura limitata in 500 copie e l’introduzione fu proprio di Oscar Ghiglia, che di Fattori fu allievo: un testo più che mai attuale, soprattutto a distanza di anni: Ghiglia con raffinata intuizione rivoluzionò la riflessione sulla pittura dell’Ottocento, riconducendo Fattori alla lezione del Quattrocento, e nel farlo privilegiò le pitture delle “tavolette” del paesaggio, piuttosto che le grandi tele a carattere bellico, accostandole alle predelle rinascimentali.

 

Ghiglia invece ebbe l’appoggio di un intellettuale e collezionista come Ojetti…

L’approvazione e il sostegno del giornalista saranno decisivi per l’affermazione professionale dell’artista, tanto che nel 1920 Ojetti gli dedicherà anche un ampio articolo monografico sul primo numero della rivista “Dedalo”, da lui fondata e diretta. La Fondazione Matteucci ha esordito nella sua attività espositiva proprio con una mostra complessa ma di estremo interesse, che ricostruiva filologicamente la collezione d’arte di Ugo Ojetti, oggi purtroppo dispersa, partendo dal primo Ottocento a Casorati. Sono felice che oggi si possa rileggere la produzione di un artista come Ghiglia, unica nel suo genere e assolutamente da riscoprire.

 

Per info

Ersel

Piazza Solferino 11 Torino

About Paola Stroppiana

Paola Stroppiana (Torino, 1974) è storica dell’arte, curatrice d’arte indipendente e organizzatrice di eventi. Si è laureata con lode in Storia dell’Arte Medioevale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino, città dove ha gestito per più di dieci anni una galleria d'arte contemporanea. Collabora con diverse testate per cui scrive di arte e cultura. Si interessa a nuovi percorsi d’indagine come il gioiello d’artista e le ultime tendenze del collezionismo contemporaneo, argomenti sui quali ha tenuto conferenze presso l’Università degli Studi Aldo Moro di Bari, Il Museo Civico di Arte Antica e la Pinacoteca Agnelli di Torino, il Politecnico di Milano.

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