Dal 2002 Sonia Farsetti è il presidente dell’Associazione Nazionale delle Case d’Asta (ANCA), nata con l’intento di tutelare l’immagine e lo sviluppo delle case d’asta italiane.

L’Associazione ha come scopo quello di vigilare sugli interessi degli associati e al contempo garantire professionalità alle persone che alle case d’asta si rivolgono per comprare e vendere opere d’arte. L’iniziativa è diventata realtà nel 1995 per volontà di 7 soci fondatori: Farsettiarte di Prato; Finarte di Milano; Pandolfini di Firenze; Pitti di Firenze; Il Ponte di Milano; Rubinacci di Genova e Sant’Agostino di Torino (Claudio Carioggia di Sant’Agostino è oggi Vicepresidente dell’Associazione). Per accedere è necessario svolgere l’attività da più anni ed essere introdotti da due associati che ne garantiscano la professionalità, discriminante fondamentale per essere membri dell’Associazione, che segue e condivide un preciso codice deontologico. L’A.N.C.A. aderisce inoltre alla Federazione Europea delle Case d’Aste (European Federation of Auctioneers), che ha sede a Bruxelles e che riunisce i rappresentanti delle case d’Aste dei Paesi membri della Comunità Europea. L’organo di informazione dell’Associazione è “La Gazzetta delle Aste”.
Signora Farsetti, come si è evoluta l’associazione negli anni?
E’ cresciuta nel tempo, oggi siamo 16 associati, ci riuniamo annualmente in assemblea e periodicamente nei consigli direttivi e ci confrontiamo sui vari temi inerenti alla nostra categoria. Abbiamo un nostro sito in cui tutte le case d’asta, oltre ad aggiornare il calendario, inseriscono il catalogo online, che diventa per l’utente (e per noi) un grande archivio condiviso. In questi anni abbiamo principalmente cercato di discutere problematiche comuni legate al mercato dell’arte e risolverle, interloquendo con le istituzioni di riferimento.
Qual è la difficoltà più grande, al momento, per la vostra categoria?
Il punto che sta più a cuore è proprio la difficoltà del dialogo con le istituzioni: da sempre cerchiamo di portare l’attenzione sulla difficoltà riscontrate degli operatori italiani nell’applicazione della legge sulla tutela dei beni culturali, specialmente in rapporto ai concorrenti stranieri. Il regime fortemente restrittivo che è sempre stato applicato non ha giovato al mercato italiano, che infatti è rimasto decentrato. Penso poi ai tempi lunghi per avere un attestato di libera circolazione, agli iter burocratici complessi, all’intasamento delle Soprintendenze sovraccariche di lavoro, non solo a causa del numero crescente dei beni presentati all’esportazione, ma anche alla diversa tipologia dei beni, che spazia dai dipinti e mobili antichi ed arriva al design sino ad oggettistica di vario genere. I compratori stranieri non capiscono i ritardi dovuti ad un meccanismo così complesso e spesso confondono i ritardi burocratici con inadempienza da parte della casa d’aste.
Quali i motivi, secondo lei?
E’ un dato di fatto che il mercato dell’arte non sia mai stato considerato come una risorsa per il nostro Paese e tantomeno uno strumento di valorizzazione del patrimonio artistico, ma piuttosto come mero luogo di scambi commerciali a danno dei beni culturali. Benché le gallerie e le case d’aste svolgano un’attività imprenditoriale, l’azione di valorizzazione del nostro patrimonio artistico è uno degli effetti prodotti dal mercato dell’arte . Per valorizzare i beni artistici bisogna farli conoscere, e per farli conoscere bisogna farli circolare , questo naturalmente senza contestare l’importanza di alcuni principi fondamentali della tutela che giustamente devono rimanere ben saldi nel nostro ordinamento. Negli anni l’atteggiamento esageratamente restrittivo nell’applicazione della legge ha però impoverito la conoscenza dell’arte italiana all’estero, specie di quella dell’ ‘800 e del ‘900 . Un vero danno.
Mi fa un esempio?
Se possiedo un’opera di un artista degli anni ‘30 molto documentato in Italia e ampiamente presente in collezioni pubbliche, ma poco conosciuto all’estero, e mi trovo di fronte ad un diniego di attestato libera circolazione (che fa automaticamente scattare il provvedimento di notifica, con i vincoli che ne derivano), questo costituisce un danno per la valorizzazione dello stesso, che, non potendo uscire dall’Italia, rimarrà poco conosciuto a livello internazionale anche da un punto di vista scientifico. Purtroppo, se le cose non cambiano, per uno straniero comprare in Italia non è interessante perché c’è il rischio di vedersi negato l’attestato di libera circolazione, e parimenti non è interessante vendere, perché se il venditore non è cittadino comunitario, la tassa di importazione che dovrà pagare l’acquirente è del 10% sull’intero valore, la più alta d’Europa. Molto più conveniente quindi rivolgersi ad altri mercati europei come la Francia o la Germania dove la tassa importazione è circa la metà. Ipotizzare una tassa d’importazione più bassa potrebbe aiutare a invertire la tendenza, rendendo il nostro mercato un po’ più concorrenziale.
Altro problema sono le opere d’arte contemporanea italiana che vengono vendute all’estero dalle grandi case straniere. Si vedano le c.d. Italian Sale di Londra che riscuotono sempre molto successo (anche presso i nostri concittadini). Sarebbe importante individuare dei correttivi fiscali per ridare centralità al nostro mercato, il che andrebbe anche a vantaggio dello Stato che non perderebbe l’IVA sui diritti d’asta che invece finisce oggi nelle casse di Sua Maestà. Su questo argomento, assieme a Vanessa Carioggia , abbiamo già aperto un primo dialogo con le istituzioni che sarà senz’altro approfondito e portato avanti nel 2019.
Cosa succede ad un’opera “notificata”?
Nel 99% per cento dei casi un’opera notificata non viene acquistata dallo Stato, che resta comunque titolare del diritto di prelazione ad ogni successiva vendita. Lo Stato diventa di fatto un comproprietario dell’opera, il proprietario si trasforma in una sorta di custode . E’ ormai riconosciuto che il valore di mercato diminuisca fortemente (circa il 50%), potendosi rivolgere per la vendita solo ad acquirenti italiani. La beffa è che in più l’opera non diventa di fruizione pubblica, rimane ovviamente di uso privato, quindi il proprietario può anche decidere di non renderla più visibile e questo naturalmente non valorizza il patrimonio.
Cosa chiedete dunque?
Siamo consapevoli dell’importanza della tutela e della conservazione nel senso stretto del termine, ma in modo più costruttivo anche per il collezionismo: la fortuna della pittura impressionista francese non sarebbe stata la stessa senza il collezionismo americano, che già a fine dell’Ottocento ha cominciato ad acquistarla ed esporla nelle collezioni pubbliche del loro paese, senza che questo abbia depauperato la Francia, anzi. Oggi il mercato dell’arte italiano a livello mondiale incide circa per l’1 % , un valore incredibilmente sproporzionato rispetto alle nostre potenzialità. Specie gli artisti del ‘900 sono rimasti isolati dal resto del mondo e lo dimostra il fatto che , a livello internazionale, i nomi di artisti italiani che hanno un vero apprezzamento si contano su una mano. Forse una politica culturale di maggior apertura avrebbe portato, meritatamente, molti altri a una ribalta internazionale.
C’è concorrenza o collaborazione tra case d’asta e gallerie?
Dipende dai casi, le gallerie temono l’attività delle case d’aste perché le vedono più aggressive sul mercato e allo stesso tempo più asettiche nei confronti del pubblico; sono ambiti tuttavia completamente diversi, la galleria compie anche un lavoro di crescita e promozione dei giovani artisti, li segue in questo percorso e li sostiene. La casa d’aste è estranea a questo meccanismo ed entra in scena solo quando le opere hanno un valore acquisito . A volte ci può essere concorrenza, ma è un arricchimento per il mercato.
C’è il rischio di qualche bolla speculativa?
Se qualche giovane artista viene quotato eccessivamente in asta il pubblico se ne accorge, è un azzardo che spesso di trasforma in un vero e proprio boomerang per la carriera stessa dell’artista.
Il web sta cambiando le aste, è un rischio o un’opportunità? Le piattaforme di e-commerce possono confondere il mercato?
Per quanto riguarda piattaforme come eBay ci sono ad oggi vuoti legislativi perché essendo considerati scambi tra privati non devono sottostare neppure, ad esempio, al diritto di seguito: eBay , e molte altre imprese simili, infatti si presentano come un luogo virtuale dove due privati possono scambiarsi opere e altri beni, e fanno pagare questo servizio. Al momento però la qualità delle opere proposte rimane piuttosto bassa. Il web comunque è certamente un’opportunità, tutti i siti delle case d’asta oggi sono interattivi, i cataloghi hanno una visibilità internazionale immediata e già sono in molti non chiedono più il catalogo cartaceo. Come tutti i fenomeni in continua evoluzione può avere dei limiti o degli effetti negativi, come la diffusione incontrollata dei dati. Molti mercanti e case d’asta lamentano il comportamento di certi siti che pubblicano i dati scaricando immagini e informazioni direttamente dai ostri siti spesso senza chiedere autorizzazioni di sorta e ne fanno un business. Un conto è l’informazione, un conto è l’esibizione di ogni dato senza controllo.
E’ positivo il trend di affluenza alle aste nell’ultimo periodo?
E’ diminuita l’affluenza numerica di persone fisicamente presenti in sala d’ aste, ma è aumentata la presenza virtuale; il web permette inoltre di raggiungere nuovi pubblici in tutto il mondo. La casa d’asta continua nelle sua attività istituzionale, nella redazione dei cataloghi, nell’allestimento di mostre anche in più sedi, ma il pubblico oggi partecipa volentieri anche a distanza e questo perché oggi è possibile prendere visione e verificare l’opera grazie a tecnologie (come le foto in alta definizione) un tempo impensabili.
Rimangono però insostituibili il piacere di vedere le opere dal vero e l’emozione di alzare la mano in sala, come insostituibile è la garanzia che solo una casa d’aste di comprovata serietà ed esperienza può assicurare.
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